Da un po’ di tempo gira sul web un video che sembra quasi il promo di una puntata di «The walking dead». È stato girato camera in spalla prima di un derby Stella Rossa-Partizan, a Belgrado, nel 2015.
In 90 minuti, il cameraman percorre il tunnel che dagli spogliatoi conduce al campo, passando tra poliziotti vestiti come i militi della Umbrella Corporation in «Resident evil», con il sottofondo di bombe carta e cori rimbombanti, e scritte color sangue in cirillico sui muri dall’aspetto minaccioso, per poi uscire davanti alla curva dei Delije, «gli Eroi», i terribili tifosi della Stella Rossa.
È la curva nord dello Stadion Rajko Mitić, meglio noto come Marakana. Il soprannome deriva dal fatto che negli anni d’oro la capienza arrivava a 100mila spettatori, quasi come lo stadio brasiliano. Dall’esterno lo stadio sembra più vetusto che glorioso, e la manutenzione non è certo all’altezza della sua storia. Il museo dove ammirare la Coppa dei Campioni del 1991 sembra una eredità dell’epoca di Tito, e le gradinate sono praticamente del tutto allo scoperto (e Belgrado non è certocelebre per il clima mediterraneo). Tra i seggiolini crescono qua e là delle erbacce, c’è la pista d’atletica e il campo si vede male.
Eppure rimane uno dei più epici templi del calcio mondiale, un’icona per gli ultras di ogni nazionalità. Perché ciò che per i supporter normali è visto come il veleno del calcio, per gli ultras è miele: al Marakana non ci sono pressoché controlli; tornelli e altri elementari strumenti di sicurezza sono banditi. Si possono introdurre tamburi, fumogeni, petardi. Qui gli steward aiutano i tifosi a montare gli striscioni, più che a controllarli.
L’unico controllo è esercitato da giganteschi poliziotti serbi in tenuta antisommossa, i quali spesso intervengono distribuendo equamente manganellate, specie durante il derby eterno, quello contro i Grobari (“Becchini”) del Partizan. Pochi mesi fa, per festeggiare i 71 anni del club, i tifosi hanno inscenato una specie di vero e proprio incendio, al 71° minuto. In questo catino infernale, il record di paganti è stato raggiunto nel 1975, quando la Stella Rossa affrontò il Ferencvaros in semifinale di Coppa delle Coppe davanti a 117 mila spettatori. In quegli anni la Stella Rossa era un avversario che speravi di non incontrare: nel 1979 giunse alla finale di Coppa Uefa, battuta solo dal Borussia M’Gladbach. La Stella Rossa arrivò in finale letteralmente spinta dalla forza dello stadio e dei suoi Delije. Al Marakana ci sono 100mila invasati che spingono i giovani biancorossi in un attacco forsennato.
L’unico gol arriva però al 21° grazie a Sestic. Al 60’ arriva la sciagurata autorete di testa di Jurisic, su un cross innocuo. Lo stadio si ripiega su se stesso, in lacrime. A Düsseldorf (scelta dai tedeschi perché lo stadio è più grande di quello della piccola Moenchgladbach) l’1-0 basta agli avversari, con quel rigore un po’ regalato dall’arbitro italiano Michelotti. Ma la Stella Rossa e il Marakana si rifaranno con gli interessi una dozzina di anni dopo. Siamo agli inizi degli anni 90, quando la stessa identità nazionale della Jugoslavia cominciava a sgretolarsi: nel maggio del 1990 al Maksimir di Zagabria ci furono sanguinosi scontri tra i BBB, gli ultras croati della Dinamo, e i Delije serbi, che coinvolsero anche i giocatori in campo (celebre il calcio di Boban a un poliziotto che inseguiva un croato).
È una triste realtà, infatti, che proprio nelle frange estreme del tifo si nascondessero i criminali di guerra, che di lì a poco avrebbero commesso indicibili massacri. Željko Ražnatovič, passato alla storia con il nome di guerra di Arkan, era un capo ultras dei tifosi della Stella Rossa. Dal punto di vista calcistico, però, la Jugoslavia era una potenza. E la Stella Rossa annoverava alcuni grandi e giovanissimi campioni: Pancev, Stojkovic, Prosinecki, Savicevic, e poi anche Jugovic e Mihajlovic erano le stelle della squadra che nel 1991 si aggiudicò la Coppa dei Campioni. La semifinale di ritorno, giocata contro il Bayern Monaco, è l’apoteosi del Marakana. Decine di tv collegate, centinaia di giornalisti. Lo stadio ruggisce dalle sue 100mila gole. Letteralmente: perché i Delije cantano sempre per 45 minuti di seguito, senza mai smettere: «Godine prolaze moje, ja cekam titule tvoje, i svakim danom sve vise volim te!» («Passano i miei anni, io aspetto i tuoi successi e giorno dopo giorno ti amo sempre di più»).
Giocano con i fumogeni e gli striscioni: formano apposta una cortina nebbiosa con i primi, per alternare i secondi, con un effetto sorpresa. E tutta questa spinta emotiva qualcosa produce: al 25° una punizione di Mihajlovic da 30 metri si insacca alla spalle di Aumann, il portiere bavarese.
La Stella attacca ancora, ma la Storia vuole il suo thriller. Al 65° Stojanovic si impapera e fa un clamoroso autogol. Non passano 5 minuti che il Bayern segna l’1-2 che porta ai supple mentari. E però no. Però viene fuori l’anima del Marakana, e anche il cemento diventa bollente.
Volim te. «Ti amo». E come nella più bella delle storie d’amore, il finale è dolce e romantico: al 90° l’autogol è di Augenthaler, che si inventa un pallonetto all’indietro sul quale Aumann nulla può.