Un commento personale, nient’altro che un commento personale

L’altro giorno ho letto un titolo della Gazza che riguardava Diego ed Higuaín, e non ho resistito, diciamo così. La “notizia” era questa.
Conoscere Napoli e i napoletani, con autenticità, è assai difficile. Dico subito che essere figlio di una donna partenopea, come lo sono io, non facilita la comprensione, tutt’altro. Quando ero un ragazzino, il classico scontro adolescenziale mi portava a rifiutare l’Estetica Napoletana cantata con orgoglio da mia madre. Io che affidavo tutta la mia incazzatura puerile ai dischi dei Pantera e al punk in camicia di flanella, come potevo accettare tutta quella poesia? Alzavo un muro invalicabile, ed era giusto così. Oggi, la voce di mia madre che canta i grandi classici della canzone napoletana – con quella voce vellutata – è uno dei ricordi più intensi che mi porto into ‘o core. E non lo dico perché sono suo figlio, fidatevi.
Col passare degli anni, quel muro si è sgretolato. E di recente, mia madre mi ha addirittura confessato che le sarebbe piaciuto essere stata una cantante. Ahaha. È stato un momento buffo, bello, irripetibile. Gli ho risposto: “Avresti potuto”. Lei ha sorriso imbarazzata, timida come quando aveva vent’anni. Gran donna, mia madre.
Ma perché sto scrivendo tutto questo? Per amore nei confronti della donna che ha cresciuto (da sola!) me e mio fratello? Certo, ma non solo. Per quanto sia arduo scrivere di pancia senza essere strabordanti, ciò che voglio trattare in questo pezzo, essendo un fatto calcistico, ha molto a che fare con l’amore. Quello che voglio affrontare riguarda la fine della storia d’amore tra il Pipita e i napoletani.

Prima però, consentitemi una digressione sciue’ sciue’ che alcuni giudicheranno fuori tema. Pazienza.

Negli anni ’80, Luciano De Crescenzo ha diretto e interpretato due film dedicati alla figura del professor Bellavista; Così parlò Bellavista e Mistero di Bellavista. In entrambi i film, il professor Bellavista si circonda di un gruppo di amici devoti e attenti alle sue esternazioni filosofiche. Tra questi, il personaggio di Luigino è quello a cui De Crescenzo affida la sintesi di ogni avvenimento con una “chiosa” in napoletano. Qui di seguito, ne riporto alcune.

Gli angeli
Professo’, permettete un pensiero poetico? Siamo angeli con un’ala soltanto e possiamo volare solo restando abbracciati!

La libertà
Professo’, permettete un pensiero poetico per l’occasione? A libertà, a libertà, pur ‘o pappavallo l’adda pruvà!

La droga
Professo’, permettete un pensiero poetico per l’occasione? A droga mia ‘a teng’ into ‘o core, a cocaina mia se chiamme ammore!

Maradona
Per l’occasione permettete di dedicarvi questo pensiero poetico. San Genna’, non ti crucciare tu lo sai, ti voglio bene, ma ‘na finta ‘e Maradona squaglie ‘o sang rint’ ‘e vene!

Come ha scritto Gianni Montieri: “Higuaín ha fatto una scelta e, scegliendo la Juventus, ha preferito non essere amato per sempre dai napoletani”. Tutto il resto è noia, tutto il resto non conta. I soldi e l’assenza di un progetto (questione quest’ultima sollevata dal fratello-procuratore di Higuain, Nicolas) finiscono per essere argomenti superficiali per disamine satellitari: non aiutano a comprendere la reazione dei tifosi napoletani, il loro orgoglio e la loro storia. La prima obiezione azzurra potrebbe essere questa: Maradona ha forse fatto tutto quel che ha fatto perché rassicurato da un progetto ambizioso? No. Maradona è stato, è, e sarà per sempre il più grande calciatore di tutti i tempi anche e proprio perché quello che ha fatto, lo ha fatto a Napoli. Come lui stesso ebbe modo di dire nel 1995 dopo la consegna del Pallone d’oro alla carriera: “Tutti dicono: questo è stato il migliore del Barcellona, questo è stato il migliore del Real Madrid, questo è stato il migliore del Chelsea, questo è stato il migliore… Io sono orgoglioso di essere stato il migliore a Napoli”.

E sì, sarà anche stato futile e puerile da parte di De Laurentiis sottolineare la grandezza dei napoletani durante l’occupazione nazista, ma il dato di fatto rimane: se vuoi chiudere una grande storia d’amore, fallo in modo chiaro, sii uomo. Perché mancando di rispetto al popolo napoletano, al popolo che chiama un neonato criatura, al popolo che forse più di ogni altro al mondo ha (di)mostrato di sapere cosa significa amare, si finisce per apparire agli occhi di questo popolo come un omm ‘e merd (non me ne vogliano i tifosi juventini, che tra l’altro, in questa storia, non c’entrano niente). Perché, insomma, mancando di rispetto al popolo napoletano, si manca di rispetto all’amore. Il tempo è galantuomo, si sa, e i tifosi partenopei, grandi e piccoli, prima o poi dimenticheranno questa perfidia, per usare la lingua del Pipita. Poiché il tempo ristabilisce la verità e ripara i torti; poiché il tempo è la migliore cura: calma gli animi, anzi, l’anema ‘e core.

Per chiuderla qua, nella speranza di non aver rotto gli argini di quei sentimenti così sdolcinatamente patetici per la voglia sanguigna di restituire loro la grandezza che meritano (il melodramma riuscì a fomentare anche uno come Nietzsche, non dimentichiamolo), vorrei ricordare ancora una volta la voce di mia mamma (permettetemelo) mentre accarezzava, tra un guaio e l’altro, le parole di Roberto Murolo: “Ma cu sti mode oje Bríggeta / tazza ‘e café parite: sotto tenite ‘o zzuccaro, e ‘ncoppa, amara site… / Ma i’ tanto ch’aggi’ ‘a vutá, e tanto ch’aggi’ ‘a girá… ca ‘o ddoce ‘e sott’ ‘a tazza, fin ‘a ‘mmocca mm’ha da arrivá!”.
Quasi dimenticavo: mia madre si chiama Brigida.
E per stasera… Forza Napoli.