Provate a immaginare un calcio in cui si entra in campo in undici e si esce dal campo con gli stessi uomini che hanno iniziato il match 90 minuti prima.

Un calcio in cui non esiste il turnover, un calcio in cui non ci sono cambi tattici o cambi per infortunio. Un gioco puro, il meno strategico possibile, fatto di uomini, di atleti che in maniera quasi folle portano a termine la loro sfida dando tutto quello che hanno nel corpo e nella mente. Ecco, il calcio alle origini era così.
Le prime indiscrezioni sulle sostituzioni, ovvero sui cambi di giocatori titolari, si hanno già sul finire dell’800. I cronisti sportivi dell’epoca scrissero nel 1863 che nel match tra Charterhouse e Old Carthusians (in sostanza una squadra di una scuola privata inglese contro gli ex alunni della stessa) alcuni dei giocatori dovettero essere sostituiti poiché non si presentarono sul terreno di gioco. La sostituzione era prevista solo ed esclusivamente in caso di assenza di alcuni dei giocatori che avrebbero dovuto comporre la squadra titolare. E infatti fu così che nell’aprile del 1889, nel match tra Scozia e Galles che si giocò a Wrexham, il portiere gallese Jim Trainer non arrivò in tempo per l’inizio della gara. Al suo posto per i primi 20 minuti fu un tale Alf Pugh, portiere dilettante, a scaldargli la porta. Poi, quando Sir Trainer trovò la via dello stadio, Pugh gli cedette il posto che gli spettava.

Chi ha inventato la Sostituzione
Chi ha inventato la Sostituzione

La prima vera sostituzione nella storia del calcio moderno arriverà molto tempo dopo. È l’11 ottobre del 1953 in un match di qualificazione al campionato del mondo tra la Germania e il Saarland, la rappresentativa dell’ormai scomparso pezzo di Germania finito in mani francesi alla fine della Seconda guerra mondiale. In pratica, una sorta di derby. In quell’occasione il tedesco Richard Gottinger entrò al posto di Horst Eckel, che divenne così il primo calciatore sostituito nella storia del calcio in una partita ufficiale. Eppure la Fifa non fu subito così recettiva nei confronti delle sostituzioni, tant’è che fino alle fasi finali dei Mondiali del 1970 non era permesso cambiare l’undici iniziale. Nella stagione 1965-66 però qualcosa iniziò a cambiare: in molti campionati ci si rese conto che, almeno per infortunio, sarebbe stato opportuno concedere il cambio del giocatore impossibilitato al proseguimento del match. Nella lega di football inglese, pioniera nell’introduzione delle novità regolamentari in Europa, la sostituzione fu permessa proprio in quella stagione, con la possibilità di effettuare un solo cambio a partita e solo per rimpiazzare un giocatore infortunato. Dalla stagione successiva la sostituzione, da necessità per togliere dal terreno di gioco lo zoppo di turno, divenne anche uno strumento da utilizzare per ragioni squisitamente tattiche. E da quel momento il ruolo dell’allenatore iniziò gradualmente a evolvere: da buon preparatore diventò anche e soprattutto uno stratega, capace di interpretare e leggere la partita.

Mai una norma è stata così flessibile come quella delle sostituzioni: all’interno delle regole cornice varate dalla Ifab (l’International Football Association Board) e modificate nel corso degli anni, i cambi passarono da uno a due e infine a tre. Anche se alle ultime Olimpiadi di Rio de Janeiro è stata introdotta in via sperimentale la possibilità di farne una quarta, ma solo per le partite che proseguivano ai tempi supplementari. Nelle gare amichevoli, dove c’è un po’ più di tolleranza, la Fifa è stata comunque costretta a stabilire un tetto massimo di sei cambi nel 2004, dopo lo sgarro compiuto dall’allora tecnico della nazionale inglese Sven Goran Ericsson, il quale durante un’amichevole con l’Olanda cambiò l’intera formazione durante la partita: un autentico record.