Malagò, dall’alto del suo pulpito, continua a buttare dalla torre i colpevoli restando saldamente incollato alla poltrona, mentre lo sport italiano -non solo il calcio- va a rotoli durante il suo regno. E’ apparso mortificato solo quando la Raggi, in uno sprazzo di lucidità, ha impedito l’assurda candidatura di Roma alle Olimpiadi e non si fatica a capire il perché di quella faccia da funerale.
Chi pensa che sia stata un’occasione persa, vada a farsi un giro a Roma, città che amo alla follia ma che aveva e ha certamente battaglie più impellenti da combattere.

Ieri gli Olimpi hanno dismesso Tavecchio, dopo una notte di “pressioni enormi” che lo han portato a cambiare la sua iniziale decisione di rimanere alla guida della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Gli han voltato le spalle tutti, i nemici: Malagò, Lotti, Gravina e Abete, con Cairo, Squinzi e De Laurentiis; gli amici: prima quelli della Lega Pro, poi quelli della Lega Dilettanti, la casa che ha presieduto per vent’anni: “Mi spiace Carlo, non hai più i numeri”.

Carlo da Ponte Lambro, fino a quel momento, aveva sperato in un rilancio basato sui programmi e le riforme promesse e, per questo, ieri in conferenza stampa, ha parlato di “sciacallaggio politico” di cui è stato la vittima, designata dal ministro Luca Lotti, che “si è speso ogni giorno sull’argomento” e, ovviamente, dal presidente del Coni, Giovanni Malagò, che non ha aspettato neanche la fine dell’incontro con i giornalisti per annunciare il prossimo commissariamento della Figc: “Ma quale commissario… Un fatto molto grave, ci sono le garanzie di legge, gli statuti…”, il commento a caldo dell’ex numero uno del calcio italiano. Il consiglio federale, infatti, non si è dimesso, come chiesto da Tavecchio: tutti si aspettavano quindi che la Figc proseguisse in condizioni di prorogatio, e andasse ad elezioni entro 90 giorni.

Sarebbe, in effetti, la soluzione più ovvia, suggerita direttamente dallo statuto, ma anche quella più condivisa da tutti i consiglieri federali. In questi 90 giorni, Lega Serie A (lunedì 27 novembre 2017) e Lega Nazionale Professionisti B (giovedì 23 novembre 2017) potranno rinnovare le proprie cariche in modo da poter rientrare con i propri rappresentati all’interno del Consiglio federale. Nello stesso momento partirebbe anche la selezione dei papabili successori di Tavecchio, con Cosimo Sibilia favorito numero 1, uomo di fiducia del blocco Lega Nazionale dilettanti, Lega pro e Calciatori. Questa è anche la prima scelta di Tavecchio che con le sue dimissioni sperava proprio di mantenere l’autonomia della FIGC nei confronti del Coni.

Invece, “siamo obbligati a fare la Giunta straordinaria mercoledì alle 16,30 perché lo statuto recita che abbiamo 48 ore dal momento della convocazione. Può succedere da statuto che si deve procedere a un commissariamento – ha specificato Malagò, spiegando il motivo che spinge il Coni a commissariare la Federcalcio, vale a dire la mancanza di una governance – I fatti sono chiari e oggettivi. Se ci fosse stato un Consiglio federale completo, compatto, forte, ci potevano essere anche altre soluzioni finali, ma se in un contesto così eccezionale come l’eliminazione del mondiale, ti ritrovi che alcune componenti prendono posizioni così antagoniste, come Calciatori e Lega Pro, e anche in altre parti c’erano dei rumors di scricchiolii, e aggiungi che due componenti neanche esistono, quella di A e di B, non è che serve uno scienziato per arrivare alla conclusione che avevo individuato già da qualche ora”.

Questa è una soluzione unilaterale definita da molti come impulsiva, una forzatura che segue alla fretta con cui Malagò si è voluto sbarazzare di Carlo Tavecchio, cacciato solo per non essere arrivato al Mondiale, un po’ come Al Capone fu arrestato solo per evasione fiscale.
Se il numero uno dello sport italiano non poteva andare in rotta di collisione col Ministro Luca Lotti, rischiando una crisi istituzionale ancora più ampia, il passo indietro di Tavecchio gli ha offerto su un piatto d’argento l’occasione che aspettava da tempo per intervenire a piedi uniti nel mondo del pallone, prima che l’ordinaria amministrazione riprenda il proprio iter e fissi la data in cui tornare alle urne.

Se, quindi, la Giunta straordinaria di domani pomeriggio dovesse propendere per questa soluzione, le tempistiche sarebbero ovviamente più lunghe rispetto ai canonici 90 giorni imposti dalle ‘semplici’ dimissioni del presidente federale. A quel punto sarà scelto un commissario straordinario che dovrà traghettare la FIGC per un tempo che si attesta sui 180 giorni.
“Io commissario della Figc? Personalmente ho un’agenda molto molto complicata e soprattutto tra 90 giorni c’è un’Olimpiade in arrivo, peraltro lontana e con un fuso orario diverso. Penso che sia di buon senso trovare un’altra soluzione” -fa sapere Malagò- “Ne voglio parlare con gli amici della Giunta, perché non è una scelta che dipende da me ma dal Coni: è l’organo che io rappresento e al suo interno ci sono delle personalità che hanno le loro idee”, ha concluso il capo dello sport italiano a margine degli Stati Generali dello sport italiano.

C’è chi giura che Malagò non veda l’ora di diventare Commissario della FIGC. C’è chi giura che se la Giunta, a lui fedelissima, glielo chiedesse nei giusti termini, allora si sentirebbe “costretto” ad accettare questo gravoso ruolo, accompagnato da due vice: Roberto Fabbricini e Michele Uva, voluto da Tavecchio, ma uomo del CONI. L’altro nome speso come commissario è Franco Carraro e un brivido ci percorre la schiena solo all’idea di un suo ritorno.
La cosa certa è che non sarà un commissariamento breve, perché questa è l’occasione unica per fare quelle riforme nel calcio che tutti aspettiamo e che, in questi anni, nessuno è riuscito a fare. L’occasione di scrivere il proprio nome nella storia è ghiotta ed è ovvio che Malagò non voglia farsela sfuggire. Ci proverà, ha le idee chiare, il calcio è il mondo a cui ha sempre ambito. C’è da rifare tutto, a cominciare dalle fondamenta, perché fino ad ora si è sempre e solo pensato a tinteggiare le pareti mentre il palazzo scricchiolava spaventosamente.

“Italiani tutto calcio e politica” diceva l’Imperatore Fatih Terim, appena sbarcato in quel di Firenze, e aver ragione. La Politica e il Calcio si sovrappongono, forse da sempre, in questo caso più che mai nella storia del nostro Paese. Oliviero Beha affermava che fosse più facile cambiare la Politica a partire dal Calcio che viceversa, ma oggi è la Politica ad essere chiamata a ristrutturare lo sport, a ritrovare la giusta collocazione e il giusto rilancio alla quinta industria del Paese: il Calcio.