Dopo l’Inter Marco Materazzi ha deciso di dedicarsi all’altra grande fissa della sua vita: le sneakers, Space23 è il suo negozio. Inutile indagare su quel 23, stampato sulla maglia nerazzurra per oltre un decennio. Le Jordan sono il suo primo grande amore ma, in tutto, tra scarpe da basket e non, ne possiede circa 3.000: «Non tutte da collezione ma, da maniaco, belle o brutte che siano, le tengo comunque».

L’idea di Space23 nasce con l’amico cestista Stefano Mancinelli con l’intenzione di unire moda e sport in un unico concetto: «Ho sempre fatto quello che mi appassionava e dopo l’Inter ho pensato di dedicarmi all’altra grande fissa della mia vita: le sneakers. Il mio stile è sportswear, voglio essere libero di essere me stesso dentro e fuori dal campo».

Tornerebbe a indossare la maglia nell’Inter di oggi?
Me la tatuerei addosso. La mia preferita è quella del centenario, con la croce rossa, anche quella del triplete, col serpente laterale. Giocare a San Siro è la cosa più bella del mondo.

E Spalletti?
Ha fatto il miglior risultato da quando sono andato via, anche se per l’Inter è il minimo. Deve puntare allo Scudetto. Mourinho rimane il migliore. Quando volevo andare via e mi ha chiesto di restare è stato come se mi avesse chiamato Bono degli U2 per dirmi di andare a fare una tournée insieme. Ho smesso di giocare con lui – e non con Benitez come si crede – ma mi ha fatto sentire parte di un gruppo e questo per un giocatore è impagabile.

Cosa ne pensa Materazzi di Zidane allenatore?
Chapeau all’allenatore, ha dimostrato di essere infallibile, c’è solo da fargli i complimenti per come ha gestito i giocatori e per la squadra che ha messo in piedi. La stessa squadra di Benitez, eppure non vinceva.

L’esperienza in India è stata forte?
Non è vero che se vai in India ritrovi te stesso, se non stai attento potresti anche perderti. Dal punto di vista umano è una realtà profondamente difficile, in cui coesistono assoluta povertà e assoluta ricchezza.

E dal punto di vista sportivo?
Ho imparato molto a livello manageriale. In Italia non tornerei, non mi permetterebbero di lavorare allo stesso modo. In India, la responsabilità di fare bene o di fare male ricadeva solo su di me. Mi sono meritato di restare quando abbiamo vinto e di andare via quando abbiamo perso. In Italia, il destino dell’allenatore è appeso a un filo e, a mio avviso, non ne vale la pena.

Rivendica la sua autonomia e la sua personalità anche fuori dal campo.
Non mi andrebbe di snaturarmi seguendo i consigli del presidente di turno, correndo il rischio di non arrivare a fine campionato.

Russia 2018 senza l’Italia. Le viene da piangere come al presidente di Federcalcio?
No, l’Italia è dal 2010 che fa piangere, la mancata qualificazione di quest’anno non è altro che conseguenza. Spero che da qui si possa ripartire.

La moda e il calcio.
Se avessi avuto Instagram nel 2006 forse adesso avrei 30 milioni di follower, ma siamo rimasti quelli di una volta, noi (i suoi compagni, N.d.R.). Se pubblico una giacca faccio 10 like, se posto la maglia dell’Inter ne faccio 40 mila. Chi ti segue è perché ti vuole bene.