[Parole di Fernando Siani, Sportitalia Tv]
É successo, è successo davvero. Il desiderio più intimo di ogni appassionato di calcio in Argentina ora è realtà, così perverso da avere quasi paura soltanto a parlarne. Sì, paura. Perché il calcio a quelle latitudini è una cosa molto più seria rispetto a come viene considerato in ogni altra parte del mondo. É il riscatto sociale di un popolo che da decenni viene martoriato da una politica che lo ha lasciato sul lastrico, con il futbol unica psicologica scialuppa di salvataggio. Il calcio in Argentina non è solo Boca-River, sarebbe eccessivo ridurre un intero movimento al Superclasico, ma negli ultimi giorni è umanamente impossibile anche solo pensare ad altro.
Perché sì, è successo davvero. Boca Juniors e River Plate sono le due finaliste della edizione 2018 della Copa Libertadores: la partita più importante del Sud America avrà in palio, per la prima volta nella storia, il trofeo più importante del Sud America.
E per l’ultima volta nella storia della Libertadores sarà una doppia finale: andata e ritorno. Prima alla Bombonera e poi al Monumental. Dal prossimo anno, infatti, si giocherà in campo neutro. E viene naturale pensare che se c’è davvero qualcosa di misticamente superiore a guidare le logiche del pallone, allora aveva sicuramente previsto anche questo. Perché Buenos Aires meritava un privilegio del genere.
Xeinezes e Millonarios, rivali da sempre, potranno godersi le partite più importanti di sempre nelle proprie case.
E lo faranno da soli, senza il fastidio di doverla condividere con gli ospiti, costretti a restare fuori dallo stadio per motivi di ordine pubblico. Trasferte vietate… anche se si tratta di pochi chilometri.
É l’ultimo livello di un dualismo ultracentenario, tra due facce profondamente diverse della stessa medaglia. Il Boca Juniors rappresenta la parte operaia di Buenos Aires e a lungo andare dell’intero Paese, cultori estremi della garra e del sudore. Il River Plate viaggia su binari opposti, testimonial della parte ricca della capitale: tecnica e bel gioco sopra ogni cosa. Con il passare del tempo le differenze ideologiche si sono inevitabilmente assottigliate, ma in Argentina nulla cambia in maniera definitiva.
L’eco dei duelli del passato, ritorna ogni volta che Boca e River si trovano a dividere il terreno di gioco.
Ritorna il SuperClasico del 1931, quando l’arbitro dopo aver fischiato un rigore per il Boca, espulse contemporaneamente tre giocatori del River pronti a ottenere giustizia privata con il direttore di gara. O quello del 1972, quando il River vinse 5 a 4 alla Bombonera. Oppure quello del 1928, vinto 6 a 0 dal Boca del mitico bomber Domingo Tarasconi.
Ritorna anche il Superclasico del 2015, valido per gli ottavi di finale della Libertadores. Durò soltanto 45 minuti, poi i giocatori del River vennero colpiti agli occhi dallo spray al peperoncino spruzzato dai tifosi avversari. Sospensione della gara praticamente inevitabile.
É una rivalità vissuta in maniera viscerale anche da chi scende in campo, come Carlitos Tevez che da giovanissimo, nel 2004, dopo un gol nel Superclasico esultò mimando la gallina, l’animale che da sempre viene accostato ai Millonarios, beccandosi un cartellino rosso ed entrando immediatamente in cima alla lista dei nemici di chi popola le tribune del Monumental.
Tevez sarà in campo anche 14 anni dopo, con l’unica missione di infliggere al River una ferita ancora più dolorosa rispetto alla retrocessione in Segunda Divison nel 2011.
Sta per nascere una nuova fase nella storia di questi due club, forse nella storia del calcio in generale.
Nulla sarà più come prima dopo questa finale, perché ai vincitori andrà la gloria eterna, agli sconfitti resterà soltanto la polvere. Non l’onore delle armi. Nel Superclasico non è mai stata tra le ipotesi previste.
E alla fine di queste due partite, di fronte alla storia del calcio che muore e rinasce per l’ennesima volta, testimoni di tutto questo potremo dire: «E’ successo…è successo davvero».