Era il 1960. La Lira vinceva l’Oscar della Moneta. Moriva Fausto Coppi. Usciva nelle sale cinematografiche La Dolce Vita di Federico Fellini. Si svolgevano le Olimpiadi a Roma. Béla Guttmann, ex-calciatore e allenatore ungherese, allenava il Benfica.

L’allenatore di Budapest, controverso e originale, fu il primo a sostenere che fossero i moduli a doversi adattare ai calciatori e non viceversa, a tal punto che ideò il modulo collettivo passa-repassa-chuta (passa-ripassa-tira, N.d.R.), secondo il quale i giocatori dovevano effettuare dei passaggi corti quando si trovavano nei pressi dell’area avversaria in modo da aumentarne la precisione del tiro, mentre se fossero stati situati lontano dalla porta andavano realizzati dei passaggi lunghi, per guadagnare metri sul campo.

Nondimeno, nello scegliere la squadra da schierare, teneva conto di diversi fattori come le condizioni meteorologiche, le condizioni del campo e quelle del naso dei calciatori, convinto che, qualora questo fosse stato intasato, non avrebbe offerto una buona respirazione, incidendo così sulla prestazione agonistica.

Guttmann era propenso a un approccio tattico dichiaratamente offensivo, tanto che disse: «Non mi sono mai preoccupato di sapere se gli avversari avessero segnato, perché ho sempre pensato che noi avremmo potuto segnare ancora». Fu anche un sostenitore della centralità della figura dell’allenatore, che paragonò a quella di un domatore di leoni: «Domina gli animali, nella cui gabbia conduce il proprio spettacolo, finché li tratta con fiducia in sé e senza paura. Nel momento in cui diventa incerto della sua energia ipnotica, e i primi segni di timore appaiono nei suoi occhi, è perso».

Dopo aver allenato numerose squadre tra cui, in Italia, Padova, Triestina, Lanerossi Vicenza e Milan, approdò al Benfica, dove ottenne grandissimi risultati, avendo anche il merito di scoprire Eusebio da Silva Ferreira, la Perla Nera, il giocatore più forte della storia delle Aquile di Lisbona e della storia del Portogallo, oltre che il nono giocatore più forte della storia secondo la classifica pubblicata dall’IFFHS (International Federation of Football History & Statistics).

Quel giorno Béla Guttmann si trovava dal parrucchiere e, proprio di fianco a lui, si trovava Bauer. L’ex centrocampista della nazionale brasiliana raccontava a un amico di un giovane, originario del Mozambico, che stava facendo faville nello Sporting Lourenço Marques. Due settimane dopo Eusebio fu aggregato alla rosa del Benfica, dove militò fino al 1975 vincendo tutto.

11 campionati nazionali portoghesi (vincendo 7 volte la classifica cannonieri della competizione); 5 coppe nazionali portoghesi; 2 Coppe dei Campioni (vincendo per 3 volte la classifica cannonieri della competizione) e il Pallone d’Oro nel 1965. Capo Cannoniere del Mondiale nel 1966; inserito tra le Leggende del Calcio grazie al Golden Foot 2003, Eusebio è diventato Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito del Portogallo e dell’Ordine dell’Infante Don Henrique, non male per un ragazzino di colore nato in una colonia del Portogallo.

Quel Benfica vinse tutto battendo tutti, tranne il Milan. «Quel Benfica era una macchina da gol. Riuscivamo a segnare una media di due-tre reti a partita: attaccare, attaccare! Questo ci ripeteva continuamente il nostro allenatore. Lo schema tattico? 

Il modello era il Brasile che aveva vinto i mondiali del ’58 con un 4-2-4. Ma lo schema non era un ordine, era solo un’idea. Nel nostro calcio la differenza la facevano gli uomini, non gli schemi», così racconta Eusebio, che prosegue: «In quel Benfica c’era amicizia, c’era voglia di divertirsi, c’era amore per la camiseta. Non eravamo ricchi come i campioni di oggi. Noi eravamo poco più che dilettanti. Ma dentro quella squadra c’era uno spirito che oggi non esiste più».

Lo stesso spirito che ricordano oggi i tifosi del Benfica e i portoghesi: «Eusebio, il Popolo è con te!», questo era il testo dello striscione esposto davanti a me, da un bambino, durante la Eusebio Cup che l’estate di qualche anno fa ho visto vincere a O Glorioso SLB (Sport Lisboa e Benfica, N.d.R.) contro l’Arsenal. Questo è lo spirito che ha spinto i Benfiquisti e i portoghesi a dedicare una statua al loro Mito, proprio all’ingresso del meraviglioso Stadio Da Luz: «Guardando la statua noi ci ricordiamo di quando il Benfica era la squadra più forte del Mondo e il Portogallo una Nazione ricca e potente e pensiamo che un giorno potrebbe tornare a essere così. Questo ci dà la forza per andare avanti e ci restituisce speranza», questo è il pensiero dei ragazzi portoghesi per i quali la Perla Nera, ormai, è semplicemente O Rei, il Re del Portogallo. Eusébio da Silva Ferreira è morto il 5 gennaio 2014, 5 anni fa.