Il Boxing Day. Il modello inglese spiegato a vanvera. Un paese che fa dell’ignoranza una bandiera e di una laurea una colpa.

I BUU razzisti e gli scontri tra Ultras finiti in tragedia. Cose che succedono in tutto il mondo, anche nel modello inglese, solo che in terra d’Albione viene punito chi lancia la banana in campo, non tutto lo stadio; solo che Oltremanica gli scontri lontano dallo stadio sono un problema di ordine pubblico, non un po’ mio e un po’ tuo.

Abbassiamo i toni, siamo andati oltre. Sembravano tutti d’accordo questa volta.

Ancelotti si è fatto portavoce della lotta contro il razzismo promettendo di ritirare la squadra se la partita non fosse sospesa dall’arbitro a seguito di insulti a sfondo razziale o discriminatorio. Poco cambia, in effetti, tra un BUU, un insulto ai morti avversari, alle madri, alle moglie, ai figli dei calciatori; è discriminante sperare che un vulcano erutti distruggendo la città avversaria, come utilizzare in tono dispregiativo un luogo di nascita, una religione o presunti gusti sessuali; per non parlare delle figurine di Anna Frank. É di cattivo gusto anche tifare contro, si dovrebbe tifare solo a favore della propria squadra, non trascorrere la partita a insultare gli avversari.

Dobbiamo abbassare i toni e fermare tutto questo. Serve ricostruire una cultura sportiva. É per questo che il Ministro dell’Interno è andato a festeggiare una ricorrenza con un gruppo Ultras, creando un cortocircuito: o sei guardia o sei ladro. Non si può essere tutto. Il tifo organizzato non può accettare le istituzioni e le istituzioni non posso invitare gli Ultras a discutere. É una questione di ruoli. Non si può risolvere tutto con l’EuroBizona alla Oronzo Canà, con un sorriso non si risolvono i problemi neanche alle porte di un boom economico come negli anni ’60.

Mentre aspettiamo il botto, dobbiamo abbassare i toni per i nostri bambini, per insegnar loro i veri valori dello sport, quelli che servono nella vita.

Lo ha dimostrato l’Internazionale F.C. accettando la squalifica e avviando la bella iniziativa che trasforma i BUU in Brothers Universally United.

Lo ha dimostrato anche la FIGC portando la Supercoppa nella democratica Arabia Saudita, uno dei partner economici principali d’Italia: perché non è vero che le donne non possono andare allo Stadio, si stanno evolvendo.

Lo dimostrano i tifosi con lo #juveout, come se aver fatto centinaia di punti in più degli avversari durante gli ultimi 8 anni dipendesse solo dagli arbitri e dal sistema: se c’è qualcosa che non torna, s’indaghi seriamente.

Lo sta dimostrando, ancora una volta, il Presidentissimo Aurelio De Laurentiis, vero e proprio conduttore di cultura nella vita, nel lavoro e nello sport. Lui che è a capo della Società più vessata da arbitri, discriminazione e maleducazione avversaria. Aurelio, che ha sempre una parola buona per tutti; che invece di costruire uno Stadio nuovo per il Napoli, compra il Bari per amore. Lui, che invece di investire per raggiungere la Juventus, incolpa il sistema e i fatturati per le sconfitte e le eliminazioni dalla Champions League. Ebbene sì, proprio Aurelio il Grande si è messo in prima linea per abbassare i toni, durante un’intervista al New York Times:

«Club come il Frosinone non attirano fan, né interessi, né emittenti nel campionato. Arrivano, non cercano di competere e tornano indietro. Se non possono competere, se finiscono per ultimi, dovrebbero pagare una multa. La promozione e la retrocessione sono la più grande idiozia nel calcio. Soprattutto quando anche la Uefa ha cercato di costringere i club a rispettare le regole del fair play finanziario. Le società dovrebbero essere strutturate geograficamente, in modo che possano essere autosufficienti. Se non possono sopravvivere finanziariamente, se non possono essere autosufficienti, dovrebbero essere espulse».

Se la seconda parte del discorso è sacrosanta – ma questo è un altro argomento -, l’attacco alla Società ciociara si è meritato una risposta puntuale del presidente Maurizio Stirpe a TMW:

«Mi sembrano dichiarazioni di una persona che ha la sindrome di Napoleone. Nella vita ancora prima che nel calcio serve rispetto e io qua non ne vedo. Io i soldi nel calcio li ho sempre investiti, con quelli che ho ricavato dai diritti tv ci ho costruito uno stadio nuovo. Cosa che De Laurentiis non mi sembra abbia ancora fatto. Nelle parole di De Laurentiis vedo solo una mancanza di rispetto da parte di gente cafona. E poi mi permetto di dire che non voglio neanche accettare consigli da chi non ha vinto praticamente niente negli ultimi anni».

Finalmente si abbassano i toni e si riportano a galla i valori dello sport contro gli interessi economici. Finalmente i bambini allo stadio smetteranno di intonare il solito: «Merda!» ogni volta che il portiere avversario rinvia il pallone. Finalmente un discorso pacato, coerente, in linea con quei valori che Aurelio ha fatto propri, anche in concreto, acquistando due realtà come Napoli e Bari per amore del calcio; un po’ come ha fatto il suo amichetto Lotito con Lazio e Salernitana, stessi sani principi:

«Se me porti su il Carpi, se me porti squadre che non valgono un c… noi tra due o tre anni non c’abbiamo più una lira. Se c’abbiamo Frosinone, Latina, chi li compra i diritti?».

Abbassiamo i toni, siamo andati oltre. Sembrano tutti d’accordo, finalmente, dopo il disastro del Boxing Day. Il modello inglese sbandierato a vanvera finalmente sembra esser stato recepito da tutti, se mai fosse una soluzione, soprattutto dal Presidentissimo De Laurentiis.

Sì, perché se il calcio inglese oggi è il più ricco è proprio perché punisce i deboli e favorisce i prepotenti, non perché permette a tutti di competere e se i soldi non bastano cerca di ingrandire la torta, almeno finché sarà possibile.

Sono matti questi inglesi che permettono anche a chi retrocede di prendere soldi che si sognano persino le prime della classe in Serie A.

Pensa che sciagurati questi inglesi che controllano i conti delle Società ogni settimana e se le cose non vanno intervengono subito. Pensa che professoroni questi inglesi che se non hai le strutture e i conti a norma non partecipi. Hanno addirittura una competizione in più e nella F.A. Cup partecipano oltre 700 squadre, mentre noi in Italia fatichiamo ad averne a sufficienza per cominciare i campionati.

Ha ragione Aurelio: è inutile trovare una strategia per ingrandire la torta, è molto meglio spartirsi la miseria che c’è, sempre in meno soggetti: «Perché io so io e voi non siete un cazzo». Del resto, siamo un Paese che fa dell’ignoranza una bandiera e della prepotenza un vanto.