Viviamo un’epoca di rancore. Quel risentimento strettamente legato alla rabbia; una rabbia sostenuta, cronica, che perdura nel tempo. Una rabbia alimentata ogni giorno, in ogni ambito; così che il calcio, specchio della società, non ne può rimanere escluso.
É così che i tifosi della Juventus, dopo aver demolito Massimiliano Allegri per cinque anni, finalmente ottenuto il tanto desiderato annuncio di cambio di guida tecnica, lo applaudono e lo piangono allo Stadium, durante la festa scudetto e il contemporaneo addio di Marco Barzagli, che piange abbracciato al suo Mister, come tutti i suoi compagni, molto legati ad Acciuga. La maglia del difensore campione del Mondo nel 2006 verrà esposta al Museo della Juventus, insieme agli 11 trofei vinti da Allegri in cinque anni, conditi da due finali di Champions League che, benché i media italiani si ostinino a volerci convincere del contrario, sanno di miracolo. Ebbene sì, la Juventus non è neanche lontanamente la favorita numero uno, non lo è mai stata e probabilmente anche l’anno prossimo avrà squadre che la precedono, a meno che l’addio di Allegri segni una svolta epocale, forse già cominciata con l’arrivo a sorpresa di Cristiano Ronaldo la scorsa estate e il cambio di stile nella divisa. Purtroppo ci sono società più attrezzate in Europa e che possono godere della spinta del contesto nazionale, che non aiuta certo la Vecchia Signora, passata da Pirlo, Vidal e Pogba a Pjanić, Matuidi, Bentancur. Con tutto il rispetto, non è sufficiente Cristiano Ronaldo per essere i più forti, basta leggere la formazione del Real Madrid degli ultimi anni per rendersene conto.
Conte era un mito, poi è diventato un sopravvalutato per gli stessi tifosi bianconeri che, almeno inizialmente, hanno contestato anche Allegri, per poi accettarlo e tornare a detestarlo senza particolari motivi se non il rancore, appunto, la rabbia per un traguardo che ogni anno sembra possibile ma non arriva, probabilmente proprio perché non è ancora alla portata.
Un po’ come il quarto posto per Milan e Inter. Se non dovesse arrivare per una delle due o per entrambe, probabilmente è perché non sono pronte. L’Inter staccò il biglietto all’ultimo secondo l’anno scorso, trasformando Luciano Spalletti nel condottiero perfetto. Un mercato lacunoso e un inizio di Champions League molto promettente avevano trasformato la Beneamata nella possibile outsider, almeno per i media italiani, poi eliminata dalla mancanza di personalità, quella che deve avere una grande squadra internazionale, cosa che evidentemente, dopo 7 anni fuori dalla Champions League, l’Inter non poteva ancora essere.
Luciano Spalletti era molto amato, oggi i tifosi nerazzurri attendono trepidanti la vittoria contro l’Empoli, la Champions League, Antonio Conte, un mercato pirotecnico e di tornare grandi, senza di lui. In tutto questo, però, Spalletti non ha grandi colpe, anzi, ha avuto il merito di riportare l’Inter in Champions League pur senza una rosa spumeggiante e piena di personaggi dotati di grande abilità nel mettersi nei guai con le proprie mani. Il rancore e la rabbia, anche in questo caso, hanno spinto a chiedere la testa di Spalletti, perché non puoi cambiarne 25.
É un po’ quello che succede a Gennaro Gattuso: amato, odiato, amato, odiato e adesso? Se arriva in Champions League lo confermeranno oppure il Milan cambierà ancora? Dal 2009 è stato prima amato e poi odiato Leonardo; poi è stata la volta di Allegri, prima osannato e poi detestato dai tifosi; poi è toccato a Seedorf, ma alla rovescia: qui la rabbia e il rancore fu della società che lo aveva scelto. Dopo Clarence è toccato a Inzaghi, Siniša Mihajlović e Vincenzo Montella, che addirittura ha riportato un trofeo sulla bacheca di via Aldo Rossi e poi è stato spazzato via, pochi mesi dopo, sempre dalla rabbia dei tifosi. Ringhio è riuscito a resistere più di tutti i suoi predecessori, forse solo grazie a un carattere d’acciaio che gli ha sempre fatto riacciuffare la rosa per i capelli più volte. Quella stessa rosa di calciatori che, salvo pochi cambi, negli ultimi anni è rimasta sostanzialmente invariata e, non a caso, ha ottenuto più o meno gli stessi risultati, indipendentemente dalla guida tecnica. Gattuso ha molti meriti, è vero, ha anche qualche demerito, come tutti del resto, ma se a una giornata dalla fine si trova in corsa per la Champions League è perché tutte le altre hanno fatto peggio, altrimenti la classifica non sarebbe troppo distante da quella delle passate stagioni.
Rabbia e frustrazione per una condizione che in Casa Milan si trascina da parecchi anni, esasperando l’animo dei tifosi che si sfogano regolarmente sul Mister di turno, perché non puoi cambiarne 25, un po’ come sull’altra sponda del Naviglio.
Forse 25 non ne puoi cambiare, ma cominciare a cambiare qualche dirigente senza per forza pescare dal mazzo degli ex illustri, forse, aiuterebbe.
Aiuterebbe anche in casa Roma, dove il risentimento di Pallotta nei confronti dell’amministrazione comunale, che non gli permette di fare lo Stadio nuovo, ha portato a un cortocircuito che sta facendo molto male alla Società giallorossa. Daniele De Rossi era senza dubbio il miglior capitano possibile; al di là degli acciacchi dovuti all’età, quando è sceso in campo è sempre stato uno dei più positivi, forse il migliore, eppure è stato allontanato da casa, gettando nello sconforto una tifoseria che, spesso, negli anni, si è consolata dalle mancate vittorie grazie alle proprie bandiere. Se gli si toglie anche quelle, poi è chiaro che il rancore cresca e che la piazza si surriscaldi. Anche in questo caso, Eusebio Di Francesco, dopo aver portato la Roma in semifinale di Champions League, è diventato il colpevole di tutto, sempre perché: non ne puoi cambiare 25.
Viviamo un’epoca di rancore. Quel risentimento strettamente legato alla rabbia; una rabbia sostenuta, cronica, che perdura nel tempo. Una rabbia alimentata ogni giorno, in ogni ambito, che invece di creare, accusa e che, invece di progettare, si fa incantare – come scriveva ieri Enrico Flavio Giangreco sul proprio profilo Facebook, riportando Franco Uggetti – da un esponente politico passato dal comunismo padano alla destra estrema; dall’essere padano e secessionista, a nazionalista e sovranista; dal credere nel rito celtico, ad affidarsi al Sacro Cuore di Maria. Il tutto solo per seguire e alimentare il rancore dei propri tifosi. In questo caso, purtroppo però, non c’è alcun allenatore da cacciare.