Il Milan non ha raggiunto la qualificazione alla prossima Champions League, nonostante ieri sera, per qualche minuto, sia stato addirittura al terzo posto.

Se Gattuso, così come Spalletti ed altri colleghi, attende di sedersi al tavolo con la Società per delineare il proprio futuro, così molti dirigenti hanno già salutato, almeno ufficiosamente. Uno su tutti, forse il più clamoroso dopo l’addio invernale di Giuseppe Marotta alla Juventus, è l’addio di Leonardo al Milan. Lo stesso Leonardo che si era portato Paolo Maldini, che i tifosi reputavano sintomo di qualità sia per la costruzione della squadra che del progetto: «Se ci sono Leonardo e Maldini vuol dire che è un grande progetto».

Non ho nulla contro Leonardo. Mi è sempre stato simpatico, mi piace anche come intende il calcio e credevo che potesse fare bene al Milan.

Premesso questo, fatico a capire il mito che lo avvolge. È stato un calciatore normale, un allenatore normale, un dirigente che non ha fatto niente di particolare – Thiago Silva, Kakà, Pato non li portò lui al Milan, se ne arrogò il merito ma non fu opera sua, basta leggere le dichiarazione dei procuratori e dello stesso Braida negli ultimi anni e comunque sono 3 giocatori, niente di stravolgente. Al PSG si è fatto squalificare e ha lasciato nel momento delle prime difficoltà, come spesso ha fatto in carriera: quando il gioco si complica, Leonardo saluta. Non bellissimo neanche il saluto all’amico Ancelotti: «Avevo con lui un rapporto quotidiano. Puoi licenziare chi ti pare, ma comportati da uomo».

Leonardo è bello, conosce 6 lingue, si vende benissimo, è simpatico ed elegante, ma nessuno mi riesce a spiegare il perché sia considerato un mito, un sintomo di qualità del progetto, quando ci sono persone che fanno scouting da anni, dai peggiori campi di periferia all’Old Trafford, sfornando talenti da decenni e al massino vengono intervistati dal Gazzettino della Parrocchia.

Silvano Ramaccioni costruì il Perugia imbattuto del 1979, il Milan di Berlusconi fu opera soprattutto sua – non a caso sedeva sulla panchina anche degli Invincibili di Fabio Capello -, ma non se n’è mai parlato. Solo Piero Frosio, anni fa, me ne descrisse il meraviglioso lavoro e la profonda conoscenza del calcio. Frosio era il capitano di quel Perugia.

Monchi, dopo anni di lavoro eccellente a Siviglia, in Italia è stato trattato come un pirla qualsiasi da una Società che di competenza ne ha mostrata ben poca – non ultimo De Rossi -, mentre Leonardo è avvolto da un’aura mistica quando se ne parla: lui non ha mai colpe, è bello e intelligente e se va via è perché lui vuole il bene del Milan, mentre Gazidis bada solo ai conti  – come se non fosse il suo lavoro e il Milan navigasse in ottime acque.

Tifosi milanisti e non, giornalisti milanisti e non, schierati in difesa di Leonardo e Maldini, spesso e volentieri contro Gattuso che, fino a prova contraria, è l’unico che ci ha messo la faccia e che ha davvero dei meriti per una stagione non certo esaltante ma condotta ben al di sopra delle aspettative di un centrocampo non certo da Champions League, che però l’ha sfiorata.

Leonardo e Maldini sì, pur senza aver fatto nulla o quasi; Gattuso no. Io davvero non capisco il perché e nessuno me lo riesce a spiegare.

Del resto, un mito è la metafora di un mistero che va oltre la comprensione umana.