A trent’anni esatti dalla caduta del Muro, sembra quasi un’allegoria l’approdo in Bundesliga dell’Union Berlin, una delle poche squadre originarie dell’ex DDR. Fiera oppositrice del regime, per i suoi fans è una famiglia con cui passare il Natale o celebrare paganamente i parenti che non ci sono più.

Parole di DOMENICO VALLI
Illustrazione di MASSIMILIANO MARZUCCO

Ci sono club che hanno maggior fama che blasone, più titoli e inchieste extracalcistiche che trofei in bacheca. Sono i club del mito, quelli che contribuiscono a rendere il calcio uno sport socialmente unico. Tra questi, il più famoso in Germania e tra i più celebri nel continente, c’è il St. Pauli, la polisportiva dell’omonimo quartiere di Amburgo divenuta Kult grazie al calcio. Un’operazione di cuore con qualche inevitabile venatura di marketing, nata negli anni Ottanta, quando al Millerntor Stadion i tifosi hanno cominciato ad adottare come stendardo non ufficiale il Jolly Roger, il teschio con le ossa incrociate dei pirati. In uno scacchiere continentale di tifoserie schierate sempre più a destra, il St. Pauli divenne un fenomeno per la sua componente fortemente di sinistra, al punto da bandire dallo stadio i tifosi con altri sentimenti politici.

Relegata da anni nella serie inferiore, non partecipa però neanche questa stagione alla Bundesliga, dove al contrario debutta un altro club Kult, forse meno chic, certamente meno
noto, di sicuro altrettanto lontano dai nuovi canoni del calcio business delle SuperLeghe. Quinto club di Berlino ad affacciarsi al maggior proscenio tedesco, dopo il Tennis Borussia Berlin, il SV Blau Weiss Berlin, il Tasmania 1900 Berlin e, ovviamente, l’Hertha BSC, tocca all’Union Berlin rappresentare la capitale nella massima serie.

La sua storia è intrecciata a doppio giro con la Storia. Ufficialmente la fondazione è datata 1906, in realtà la vera vita dell’Union risale a sessant’anni dopo. Il Muro da cinque anni taglia in due Berlino e ha separato gli stessi compagni di squadra. Il vecchio Stadion An der Alten Försterei è nel quartiere di Köpenick, sud-est della città. In pieno territorio DDR. L’Union Berlin diviene così una squadra della Repubblica Democratica ed è qui che cementa quel sentimento che ancora identifica i tifosi biancorossi. Nasce immediata la rivalità sul campo con la Dinamo Berlino, la squadra della Stasi, il cupo servizio segreto del Ministero della Sicurezza di Stato.

E da lì il sentimento di rivalità rimbalza fuori. Nel giro di poco tempo, la polizia politica è convinta che i nemici dello Stato siano tutti tifosi dell’Union. Di certo, i fan dell’«Unione di Ferro» dimostrano un inscalfibile attaccamento ai colori nonostante i risultati siano riservati tutti alla Dinamo, festeggiata da Erich Mielke, gran capo della Stasi, con dieci titoli a fila.

L’Union riesce a ottenere soltanto una FDGB Pokal, la Coppa della Germania Est, nel 1968. Non a caso, in questo periodo nasce l’usanza durante le punizioni di urlare «il muro deve cadere», dove il riferimento alla barriera avversaria è un banale paravento. Gli spazi di libertà sono ristretti nella DDR e potersi recare all’Antica Falegnameria, come si chiama in italiano lo stadio biancorosso, per trovare una nicchia condivisa di blando dissenso, di autodeterminazione e qualche refolo di libertà.


LA STASI, LA POLIZIA POLITICA DELLA DDR, ERA CONVINTA CHE I NEMICI DELLO STATO FOSSERO TUTTI TIFOSI DELL’UNION.

In quegli anni foschi fu d’aiuto per molti berlinesi dell’Est e non se lo è dimenticato nessuno, neanche gli orgogliosi discendenti. L’Union si è tramutata così in una famiglia, con un senso di appartenenza tanto forte che per il debutto in Bundesliga i tifosi hanno portato all’Alten Försterei le gigantografie dei cari scomparsi. Madri, padri, nonni, trisavoli in dimensione poster per coinvolgerli in quella gioia che non si sono potuti permettere da vivi. Non sorprenda. In questo stadio, che prende il nome dalla vecchia casa dei guardaboschi, dove ancora i tifosi ma anche i giocatori non si vergognano ad arrivare in bici o dove i membri del consiglio scendono in strada a vendere il match-program, ogni Natale si celebra una funzione pagana che non ha pari.

Qualcuno a dire il vero, sta provando a replicarla, ma questa è nata dal cuore e dalle radici dell’Union Berlin. Un rito cominciato in clandestinità il 17 dicembre 2003 da 89 fan che, per scambiarsi gli auguri di Natale, hanno pensato bene di aspettare il favore del buio e scavalcare i cancelli per farsi gli auguri in campo. Un’idea così folle che non poteva non piacere alla dirigenza del Club, che dall’anno dopo l’ha istituzionalizzata: oggi sono in trentamila che ogni 23 dicembre si ritrovano in campo e sugli spalti dell’Alten Försterei esclusivamente per scambiarsi auguri, omaggi e sorrisi.

D’altronde, l’erba della Vecchia casa del guardaboschi non è mai stata considerata tabù. Nel 2014, durante la World Cup, il campo è stato messo a disposizione per vedere le partite su grande schermo. Ma dimentichiamoci l’effetto Festivalbar delle omologhe iniziative nostrane. Nessuna sgomitata per arrivare alle balaustre, nessuna maratona fisica per vedere la partita in bivacco precario. Si stava sì sul terreno di gioco, ma su comodi divani. Ognuno con il suo tavolino con abat-jour per le partite in notturna e, ovviamente, la disponibilità di cisterne di birra, senza limiti alcolici. Perché quando uno si sente a casa, le mattane le lascia fuori dalla porta. Un concetto di casa talmente stringente che la tribuna su cui era stato posizionato il megaschermo era chiusa da pannelli con carta da parati anni Settanta, con appesi giganteschi quadri con i ricordi più emozionanti del club.

I fan dell’Unione di Ferro vivono l’appartenenza al Club in maniera così sentita, da andare oltre i risultati. Lo testimonia lo striscione «Merda, la Bundesliga!» esposto la scorsa stagione quando ormai era chiaro che la promozione sarebbe arrivata. Il timore era, ed è, che il calcio business possa compromettere l’integrità morale dell’Union. Insomma, meglio duri e puri in B che debosciati in A.

La speranza, invece, è che l’Union contribuisca a ricordare agli altri il valore delle radici. Che nel calcio sono sempre i tifosi. Gli anticorpi sembrano già attivati. Non a caso nell’inno «Eisern Union», Unione di Ferro (poteva essere scritto e cantato da qualcun altro rispetto all’icona punk Nina Hagen?), ricordando le fiere origini dell’Est, si dice Wer lässt sich nicht vom Westen kaufen?, chi non può comprare l’Occidente? Per l’Union non è mai questione di prezzo.