Il primo fu Fabio Liverani. Oggi tocca a Balotelli e al giovanissimo neo-citizen, Moise Kean. La storia dei colored in Azzurro è recente e per nulla comoda.
Ma non saranno certo gli striscioni che recitano «Il mio capitano è di sangue italiano» a rallentare una marcia inarrestabile.
Parole di NICOLA CALZARETTA

Alla domanda politicamente corretta, Fabio Liverani risponde dritto per dritto: «Io il primo calciatore non bianco in nazionale A? Dite pure il primo di colore». Lo fa con il massimo candore e con la sua curiosa «zeppola» che lo fa scivolare sulla zeta di nazionale.

Una giocata semplice, ma efficace.

Un preciso piatto di prima intenzione per lanciare in verticale il centravanti, al netto di inutili barocchismi. Un tempo di gioco guadagnato e maggiori possibilità di arrivare a bersaglio.

Ma sì, andiamo al cuore del problema senza coloranti artificiali, né conservanti dannosi alla salute. Liverani, figlio di padre italiano e madre somala, ha la pelle scura. Lo sa e ne è fiero. È nato a Roma, il 29 aprile 1976. Alla vigilia del suo venticinquesimo compleanno il ct. Giovanni Trapattoni, lo chiama in azzurro per un’amichevole.
È il 20 aprile 2001. Fabio è il regista del Perugia di mister Cosmi e in quella sua prima stagione di A si è guadagnato le attenzioni del Trap che va detto, lo conosce dai tempi comuni di Cagliari, lui mister della prima squadra, Liverani promettente centrocampista della Primavera.
Alla nazionale, in corsa per un posto per i Mondiali nippocoreani del 2002, un giocatore così fa comodo, visto l’infortunio di Albertini e gli acciacchi di Di Biagio. La notizia, però, non è questa. Gli aspetti tecnici, nonostante il pragmatismo del Trap, vengono messi in secondo piano rispetto alla novità cromatica relativa al colore della pelle del nuovo debuttante.
Con tutte le problematiche che si trascina dietro, dagli ululati razzisti in giù per un fenomeno di intolleranza assurdo quanto purtroppo molto diffuso alle nostre latitudini, e non solo.
Fabio Liverani, dunque.

Primo giocatore colored in Nazionale A.

Vero. Per la precisione, primo calciatore cittadino italiano di colore in Nazionale A.
Nel passato, anni Cinquanta, c’era stato un altro giocatore con la pelle scura vestito con l’azzurro della massima selezione: l’attaccante della Fiorentina Miguel Angel Montuori, dodici presenze e due reti, perfino la fascia di capitano una volta. Ma lui era un oriundo, giocatore proveniente da altra federazione calcistica (di fatto uno straniero, argentino nel caso di specie), ma che godeva della doppia cittadinanza grazie al padre italiano.
Quello degli oriundi è stato un fenomeno molto in voga fino al 1962 con nomi di big quali Cesarini, Orsi, Guaita e poi Altafini, Sivori, Sormani. Un fenomeno riaffiorato in epoche recentissime (nella Nazionale campione del mondo del 2006, c’era l’italoargentino Mauro Camoranesi, giusto per citare il più titolato). Liverani, invece, è il primo colored boy tutto italiano della storia della selezione azzurra maggiore.
La cronaca, tuttavia, impone di ricordare che nelle rappresentative giovanili, prima dell’attuale allenatore del Lecce, si erano già affacciati altri due calciatori di colore, entrambi difensori: Dayo Oshadogan, nato a Genova il 27 giugno 1976 da padre nigeriano e madre ligure (primo ragazzo con la pelle nera a giocare per l’Under 21 azzurra con Cesare Maldini commissario tecnico) e Matteo Ferrari, nato in Algeria da padre italiano e madre guineana che, fin dall’età di 15 anni, scelse di rappresentare calcisticamente l’Italia, facendo tutta la trafila delle varie Under per poi arrivare al debutto nella Nazionale A nel novembre del 2002, anche lui convocato da Giovanni Trapattoni. Fabio Liverani, quindi.
Primo giocatore colored in Nazionale A.

Per una incredibile e suggestiva coincidenza debutta il 25 aprile 2001

Non una data qualsiasi per la storia della nostra patria. E debutta contro il Sudafrica, paese simbolo nella lotta contro l’apartheid. I corsi e i ricorsi che il calcio, e lo sport in generale, amano regalare in ogni tempo e luogo sono ricchi di magia e suggestioni.
A quella presenza, con tanto di numero 10 sulle spalle (per la cronaca, vittoria dell’Italia per 1-0), ne seguiranno soltanto altre due. Poi stop per Liverani, il primo uomo di colore sulla luna azzurra.
Un passaggio rapido, una meteora nel cielo blu della Nazionale, la cui luce fiammante, però, è riuscita a tracciare una precisa linea di confine aprendo la strada ad una nuova era.
Quella caratterizzata dagli italiani di seconda generazione, figli di immigrati, ma nati nel nostro territorio e quindi, con il compimento del diciottesimo anno di età, cittadini tricolori a tutti gli effetti.
Anche con la pelle nerissima.

Un fenomeno sociale nuovo

(e tormentato) per l’Italia, anche per quella del calcio, al pari della Germania.
Una realtà consolidata, invece, per la Francia da sempre multietnica e colorata (a caso tra le figurine peschiamo quelle di Marius Tresor, libero della Nazionale del ’78; di Jean Tigana, centrocampista dei blues nel 1982 e dei campioni del mondo Lilian Thuram nel ’98 e Paul Pogba la scorsa estate).

Anche l’Inghilterra è un bel pezzo avanti: il primo colored debuttò con la maglia della Nazionale maggiore nel novembre 1978 (si trattò del terzino del Nottingham Forest Viv Anderson, origini giamaicane, un giorno ne riparleremo). Fabio Liverani, si diceva. Dopo di lui, ecco altri giocatori dalla pelle nera vestire l’azzurro della Nazionale maggiore.

Nel 2011 fa il suo debutto il difensore centrale Angelo Ogbonna, classe 1988, nato a Cassino da genitori nigeriani. Lo convoca il ct. Cesare Prandelli, mentre si deve al suo successore Antonio Conte la prima chiamata per l’attaccante Stefano Okaka, anche lui figlio di genitori della Nigeria e nato Castel del Lago (Perugia) il 9 agosto 1989.

Prima di loro, il 10 agosto 2010, ecco il primo dei trentasei gettoni azzurri per Mario Balotelli. Il commissario tecnico è Prandelli chiamato a ridare nuova vita all’Italia dopo la tremenda delusione dei mondiali del 2010 in Sudafrica (fuori al primo turno, da campioni del mondo uscenti).
Uno dei tasselli del nuovo puzzle tricolore che Prandelli intende ricostruire è rappresentato da questo colosso d’ebano, venti anni, centravanti rivelazione dell’Inter.

La storia di Mario è singolare

Nato a Palermo il 12 agosto 1990 da una coppia di genitori ghanesi (Barwuah il loro cognome), dopo tre anni si trasferisce nel bresciano. Qui, per le difficoltà economiche dei Barwuah e seri problemi di salute che lo affliggono, il piccolo Mario viene dato in affido ai Balotelli. È in questo ambito che il bambino si forma, stringendo sempre e più forti legami con la famiglia affidataria, e allontanandosi progressivamente da quella naturale (con futuri strascichi polemici).
Nel frattempo, cresce anche come calciatore, bruciando le tappe grazie ad un talento innato e a una struttura fisica da paura. Se ne accorge l’Inter che a 16 anni inserisce il promettentissimo attaccante di colore nel suo vivaio.
L’anno dopo il mister Roberto Mancini, uno che di baby se ne intende, lo fa debuttare in Prima Squadra.

L’escalation da lì è immediata.

La nota stonata è che alle giocate di Balotelli in campo, molto spesso decisive e spettacolari, si accoppiano anche le variegate esuberanze del suo carattere. A 18 anni, intanto, acquisisce la cittadinanza italiana. Per lui è una svolta decisiva. «Sono italiano, mi sento italiano, giocherò sempre con la Nazionale italiana»: questo il suo voto, deciso e sicuro. Le intemperanze di una personalità complessa, però, non lo aiutano. Né aiutano quel processo di integrazione che in Italia appare ancora più faticoso, anche nel mondo del calcio. E quando viene proposta l’idea di dargli la fascia di capitano in Nazionale, la risposta – maleducata, becera e cattiva – viene affidata ad uno striscione con scritto: «Il mio capitano è di sangue italiano».

Adesso è la volta di Moise Kean, l’ultimo arrivato alla corte azzurra (il debutto è datato 20 novembre 2018). Classe 2000, «Mosè» è nato a Vercelli da genitori originari della Costa d’Avorio. Inserito fin da piccolissimo nelle giovanili dell’Asti, è transitato nel vivaio del Torino prima di approdare a quello della Juve. Kean è l’ultimo crack del calcio italiano. Talento puro, ha battuto ogni tipo di record in fatto di precocità. Adesso per lui si sono aperte le porte della Premier League, ottima palestra per la sua completa maturazione, anche in chiave azzurra.