Gli uruguaiani sono così, testardi e grintosi e pur essendo spesso dotati di buona tecnica, se non riescono a ottenere ciò che vogliono sono pronti a tutto.

Martín Cáceres potrebbe giocare a calcio anche senza un piede. Vi sembra esagerato? Ok, dai. Ma cosa volete che sia un tendine d’Achille operato otto mesi fa per un uruguagio che nei solchi del viso porta tatuata la discendenza dell’antica etnia indigena charrùa.
D’altronde i precedenti non mancano: Héctor Castro, attaccante che vinse il primo campionato del mondo disputato nel 1930 con la Selección de fútbol de Uruguay, era soprannominato “el Manco”, o “el divino Manco” per le caterve di gol che segnava ma anche perché, traducendo facilmente, era monco.
All’età di 13 anni a Montevideo, mentre cercava di imparare un mestiere, una sega elettrica gli aveva reciso l’avambraccio destro. Cosa volete che sia? Con il Nacional segnerà 145 gol in 231 partite. Con la “Celeste” 25, dei quali quattro in un solo match. Perché gli uruguaiani sono così, testardi e grintosi e pur essendo spesso dotati di buona tecnica, se non riescono a ottenere ciò che vogliono sono pronti a tutto. Suarez e i suoi denti vi ricordano qualcosa?

Ma chi è davvero Martin Caceres?

Martin Caceres è fatto di quella pasta e lo ha sempre dimostrato. Fin da quando sua madre da piccolo decise di rasarlo a zero. I compagni di squadra lo soprannominarono “el Pelado”. E lui come reagì? Facendosi crescere una chioma fluente e voluminosa che non abbandonerà mai più. Neppure quando nel 2013, alla guida della sua Porsche Cayenne nei pressi di Bologna, si schiantò frontalmente contro un’ Alfa Mito: un impatto talmente violento da devastare la parte anteriore dell’auto del difensore, finita contro l’ingresso della stazione della metropolitana.
Caceres, uscito dalla fuoriserie e dopo aver constatato che poteva camminare con le sue gambe, per prima cosa ha cercato di riassettarsi lo chignon. Peccato che avesse sfondato con la testa il parabrezza: 30 punti di sutura tra cuoio capelluto e zigomo destro. Ma non si è rasato. Toglietegli tutto ma non i suoi capelli, altro che Nicolò Fabi.  Per questo le voci che circolano su un suo probabile approdo al Milan non possono che farci piacere. Perché è un duro. Uno che non si risparmia. E tecnicamente vale più dell’80% dei difensori che circolano oggi in Italia.
La Juventus ne sa qualcosa. E’ stato il suo D’Artagnan per 6 stagioni. Athos, Porthos e Aramis, più “aziendalisti”, sono Barzagli, Bonucci e Chiellini. Con tre così, di solito, gli altri difensori non giocano più di tre partite di Coppa Italia a stagione. E invece Caceres non solo gioca, ma segna gol decisivi, si distingue per la dedizione alla causa ed entra nel cuore dei tifosi. Tanto che la società, nel salutarlo, scrive: “È uno dei ‘magnifici otto’: in ognuno dei cinque scudetti di fila c’è stampato anche il suo nome, così come nelle due Coppe Italia e tre Supercoppe italiane conquistate dal 2012 ad oggi, 30 giugno 2016”.
Gli infortuni di Caceres
 

Martin Caceres: una carriera rovinata dagli infortuni

Se non fosse per quei continui infortuni, direte voi. E avete ragione. Proprio adesso che, a 29 anni, sarebbe potuto entrare nella bacheca dei migliori difensori d’Uruguay e rimanerci per altri cinque o sei anni. Perché il piccolo paese a cavallo tra pampa argentina e colline brasiliane ha una lunga tradizione di grandi difensori: José Nasazzi, negli anni ’30, soprannominato non a torto “el gran mariscal (“il gran maresciallo”), oppure mastini come Paolo Montero e colossi alla Diego Lugano. Cosa farebbe oggi Caceres in coppia con Godìn in nazionale? Provate a passare portando a casa i parastinchi.
Montella già sogna di far fuori quello sciatore di fondo di Ignazio Abate con la difesa a tre: Caceres a destra, Paletta centrale e Romagnoli a sinistra. Ma quel maledetto tendine d’Achille (e non tallone, se no era troppo facile fantasticare) non ne vuole sapere di lasciarlo in pace. Nell’ultimo mese gli ha fatto saltare gli accordi con Trabzonspor e Fiorentina e chissà che non rischi di allontanarlo anche dai colori rossoneri. Ma il carattere charrùa non ne risente e l’ex juventino continua il suo peregrinare tra una infermeria e l’altra per farsi valutare idoneo. Con quel carattere, come fa ad accettare di non esserlo?
Soprattutto se nasci e cresci nel lembo di terra che gli argentini considerano una loro “provincia” un po’ sfortunata e i brasiliani un posto dove “tagliare” per raggiungere in minor tempo Buenos Aires.
Gli uruguayani, per nulla intimoriti gli rispondono – limitandoci a riportare solo argomenti di football – che nonostante le dimensioni possono vantare nel palmares quattro campionati del mondo. Come? Gli ori nelle olimpiadi del ’24 e del ’28, quando non esisteva la Coppa del mondo, e quelli ufficiali del ’30 e del ’50. E rincarano la dose sottolineando che i migliori radio e telecronisti sudamericani di tutti i tempi sono “celesti”: il leggendario e pionieristico Carlos Solè e l’icona contemporanea Víctor Hugo Morales (se non ricordate il suo “goool…voglio piangere…Dio Santo, viva il calcio”, alla seconda rete di Maradona con l’Inghilterra, dovete ripassare). Come volete ribattere? Difficile. Perché sono testardi e grintosi e se vogliono ottenere qualcosa prima o poi ci riescono.
Come Martin Caceres. Per questo non mi interessa come andranno a finire le visite mediche a Milanello. Sono certo che, nonostante tutto, non appenderà le scarpe al chiodo. Ma se dovesse succedere, allora vorrà dire che il suo talismano, quella chioma fluente ostentata a dispetto di chi lo prendeva in giro, ha perso il suo effetto. E purtroppo sarebbe arrivato il tempo di ritornare alla vita reale. A essere semplicemente “el Pelado”.