Anche quel sabato, come tutti i sabati dopo pranzo, aveva preparato il borsone con metodo e scaramanzia, mettendo gli scarpini puliti e spazzolati per bene nel fondo della sacca, con i tacchetti rivolti verso sinistra. I parastinchi, che invece erano ancora sporchi, li aveva legati attorno alla canottiera, quella che avrebbe indossato sotto la divisa. Si presentò al campetto con il solito brutto pensiero a rimbalzargli tra una tempia e l’altra.

Dopo il riscaldamento si chinò a stringere il nastro bianco attorno al ginocchio destro: aveva avuto un problemino lì l’estate precedente ed il nastro serviva a non far ballare troppo la rotula, diceva a tutti. Appena dopo il mister gli lanciò la maglia e scoprì che sulla schiena avrebbe portato il numero quattro. La strinse forte e ne aspirò col naso l’orribile odore come era solito fare, e buttò fuori quell’aria dalla bocca, trasformandola in un sospiro di sollievo, ringraziando di partire titolare.
Decise così di rivolgersi al suo dio personale, all’uomo-amuleto che portava nel portafogli sotto forma di figurina, ritratto con una divisa del Manchester United. Mentre i compagni si scambiavano pacche più o meno violente ed imprecazioni varie, chiuse gli occhi e si mise a braccia conserte, attento a non farsi vedere troppo, poi si concentrò e chiese a Juan Sebastian Veron di guidarlo sul campo che lo attendeva là fuori.
Gli chiese di guidarlo nell’istinto, nella fantasia, nella visione di gioco. Venne interrotto da una spruzzata d’acqua proveniente da una borraccia: era un compagno di squadra, quello col numero nove, che era anche compagno di classe e compagno di bevute al bar il sabato sera, che in quel momento gli chiedeva se fosse tutto a posto: neanche lui, che lo conosceva bene, era a conoscenza del rito che accompagnava ogni suo pre-partita (del resto queste preghiere perderebbero il loro significato, la loro forza, se fossero condivise con altri, aveva sempre pensato).
Juan Sebastian Veron
Diede una risposta a caso in maniera confusa, temendo che l’interruzione del rituale avrebbe compromesso la sua prestazione e, più in generale, quella di tutta la squadra. Era tempo di uscire dallo spogliatoio, sbattere i tacchetti sulle mattonelle prima col piede destro e poi col piede sinistro, ed imboccare il tunnel mobile che portava fino al campo. Decise di ripassare brevemente, sperando di non aver dimenticato nulla: il quattro sulla schiena ed il nastro al ginocchio come Veron, l’odore della maglia, il rumore degli scarpini contro il pavimento.

Essere Juan Sebastian Veron

Entrò nel rettangolo di gioco pensando a quei piccoli gesti, a quei riti che si tengono nascosti agli altri, come se fossero delle preghiere silenziose che difendiamo per pudore; illusioni sì, minuscole, ma capaci di darci forza, consapevolezza, concentrazione. Tutti fattori necessari per affrontare ogni partita. Si rese conto che il calcio, per chi lo accompagna a queste superstizioni, proprio perché lo accompagna a delle superstizioni, altro non è che una religione.
Alla sua sinistra trovò il suo amico, cercò anche in lui qualche prova, qualche movimento o sguardo insolito, e lo sorprese a tormentarsi l’indice sinistro con gli incisivi, mentre voltava la testa di qua e di là, come se volesse dire di no a qualcuno o a qualcosa. Anche lui, di sicuro, stava pregando. «Starà dicendo di no ai brutti pensieri, alla sfortuna, o a chissà cos’altro» pensò, sentendosi più sicuro, sentendosi meno solo.

Veron
Veron

Tradito da Dio

Due ore dopo era sotto la doccia, l’animo cupo, i compagni di squadra zitti come si sta zitti dopo una sconfitta evitabile, arrivata allo scadere per una disattenzione a centrocampo. Le preghiere, i pensieri, i gesti compiuti con ordine e precisione non erano serviti neanche stavolta. Era stato tradito, tradito dal suo dio.
Ha continuato ancora per molto tempo a giocare e nulla, nelle sue superstizioni, è cambiato: anche dopo le sconfitte più pesanti, non ha mai rinunciato alla figurina di Veron nel portafogli o al nastro bianco sul ginocchio. In fondo, per ribellarsi al proprio dio, di coraggio ce ne vuole, e se questo dio ti accompagna e ti protegge nei campi di calcio (chiunque esso sia, qualunque sia il risultato), non può che accompagnarti anche in tutti gli altri momenti della tua vita.
Stamattina è uscito di casa molto presto ed è andato all’ennesimo colloquio di lavoro. Sogna di fare il grafico pubblicitario. E’ sempre stato un creativo sia in campo che nella vita, come Veron. Sono certo che ora, nella sala di attesa di quell’azienda, sta lì con gli occhi e le braccia conserte, cercando di non farsi notare troppo dai passanti.