Quel pomeriggio di maggio 1990 a Piazza Savonarola è sempre vivo nella memoria di chi fu chiamato a gestire l’ordine pubblico. Ore di guerriglia urbana scatenata dalla cessione dell’idolo della piazza alla rivale più odiata, con la quale c’era appena stato uno scontro che aveva lasciato in eredità l’ennesimo senso d’ingiustizia. Roberto Baggio alla Juventus.

I tifosi traditi

Giusto pochi giorni dopo che le due squadre si sono affrontate nella doppia finale di Coppa Uefa. L’hanno spuntata i bianconeri, vincendo 3-1 la partita in casa e pareggiando 0-0 quella giocata sul campo neutro di Avellino (!), in uno stadio a maggioranza bianconero. E subito dopo essersi presa la Coppa, la Juventus si porta via pure il campione più amato. Un tradimento della società viola verso la piazza, consumato con la tempistica più provocatoria che si possa immaginare. La rabbia esplode spontanea e incontrollabile nella piazza che ospita la statua di Fra’ Gerolamo, il domenicano che nel Quattrocento fustigava la corruzione dei ricchi e potenti, e la deriva mondana della Chiesa. Un pomeriggio di guerriglia urbana che vede schierarsi contro quella cessione non soltanto gli ultras, e nemmeno soltanto i tifosi. È un città intera a schierarsi contro.
Lo ricordano bene anche un quarto di secolo dopo, i funzionari di polizia che quel giorno devono fronteggiare quella furia. E ciò che proprio non riescono a dimenticare non è la violenza dei ragazzi che rifiutano di lasciar consegnare il loro idolo al nemico, ma la solidarietà, e la complicità, che la gente comune di Firenze mostra verso quei ragazzi. Chi prova a assaltare la sede della Fiorentina, e per questo va a scontrarsi con poliziotti e carabinieri, non è un gruppo d’isolati facinorosi ma l’avanguardia d’una città ferita nell’orgoglio, irrimediabilmente oltraggiata nella fede calcistica. E ciò che poliziotti e carabinieri proprio non s’aspettano è vedere i portoni aprirsi per dare rifugio ai ragazzi in fuga, e le anziane signore che dai balconi scaraventano i vasi e urlavano “bastardi!” agli agenti, e i distinti signori di mezz’età che passano dalla piazza e rischiano l’arresto perché difendono quei giovani “che hanno ragione d’essere incazzati”. E intanto le condizioni di sfondo presentano una situazione d’allarme, a rischio d’una pessima figura per il calcio italiano e per il Paese intero. Coi Mondiali di Italia 90 da celebrarsi poche settimane dopo, e la nazionale azzurra ospite a Coverciano per il ritiro e individuata dal tifo viola come il simbolo d’un potere calcistico ostile, da combattere.

Baggio - Italia 90
Baggio – Italia 90

Se non si torna indietro a quel pomeriggio di un giorno da cani, e al modo in cui finì una storia d’amore troppo breve e tumultuosa, non si può capire cosa sia stato Roby Baggio per Firenze. Il campione che con la maglia viola aveva cominciato a mostrarsi fuoriclasse, e grazie alle sue magie aveva restituito il sogno a una piazza ancora ferita dal mancato scudetto del 1982, perso anche quello dopo un testa a testa con la Juventus. Quel sogno e quella storia d’amore s’esaurivano nel peggiore dei modi, e si lasciavano dietro una scia di veleno che avrebbe ammorbato lo stesso rapporto fra Roby Baggio e la piazza. Con un ulteriore passaggio traumatico, quando l’amichevole fra Italia e Messico giocata nel gennaio 1993 allo stadio Franchi fu la scena d’una lunga serie di cori contro il fuoriclasse, la nazionale azzurra e la federcalcio. Ciò che costò un’assenza degli azzurri da Firenze per ben tredici anni.
Non doveva finire così. Ci sono milioni di modi per veder concludere una storia d’amore, ma quella tra Firenze e Roby Baggio si è chiusa nel peggiore. Consumato all’apice della passione, e effettuato dal nemico irriducibile. Ma bisogna proprio tenere conto di questo, prima di valutare tutti i passaggi successivi del rapporto fra il mondo viola e il fuoriclasse di Caldogno. Per chi negli anni ha osservato da fuori il succedersi degli avvenimenti, e s’è trovato a stigmatizzare gli eccessi d’ostilità della piazza nei confronti del suo ex idolo, sarebbe d’obbligo provare a calarsi dentro quel turbine emotivo.
Non per giustificare le cose accadute. Ché tanto la storia ha chiuso i conti, e purtroppo qualcuno di coloro che erano in piazza Savonarola quel pomeriggio di maggio ha continuato a pagarli per lungo tempo. Piuttosto, si tratta di comprendere. Cioè provare a essere nella stessa condizione mentale e emotiva di chi era lì mentre il ratto veniva effettuato, e poi avrebbe continuato a esserci negli anni successivi quando Roby Baggio scendeva in campo al Franchi indossando maglie diverse. Soltanto facendo questo sforzo d’empatia si può prendere coscienza di cosa accadde, e del perché una città intera cedette alla rabbia. Ma si può capire anche le successive evoluzioni del rapporto fra le due parti, e perché l’ostilità sia sfumata in una neutralità strana. Un misto di nostalgia e studiata indifferenza, il distillato che soltanto la superbia dei fiorentini sa tirare fuori. Poco a poco i fischi si sono attenuati, e anche i cori ostili. Prima o poi diventiamo tutti ex, e il meglio che ci si possa augurare è non portarsi addosso ferite definitive.
Accade anche tra Firenze e Roby Baggio, ciò che nessuno nel mondo viola avrebbe immaginato mai. E invece così avviene in un plumbeo pomeriggio di febbraio del 2001. Al Franchi è ospite il Brescia, l’ultima squadra del fuoriclasse di Caldogno prima di lasciare il calcio giocato. A metà ripresa il punteggio è sul 2-1 per la Fiorentina, e il gol degli ospiti è stato messo a segno proprio da Baggio.
Succede durante un lunghissimo istante. E tutti sugli spalti sappiamo che accadrà. Punizione dal limite dell’area, sotto la curva Fiesole. Sul pallone c’è lui e nessun altro, non si fa nemmeno finta che ci sia alternativa nell’esecuzione. E poi la traiettoria perfetta e fulminea, che colpisce la parte interna della traversa e schizza in porta dopo aver toccato terra, con Francesco Toldo che non fa nemmeno in tempo a abbozzare la parata.

Lì tutto il Franchi scatta in piedi e applaude.
Come se quel gesto sublime l’avesse compiuto un avversario qualsiasi, o un qualsiasi ex di cui si sapeva potesse andar via in qualunque momento perché questo è il calcio professionistico. Ma anche perché c’eravamo tanto amati, e poi troppo odiati, ma poi giunge sempre il momento in cui si decide che può bastare. E a quel punto ci si sforza di far finta sia tutto normale, e si può anche lasciare spazio alla nostalgia.
C’è tutto questo nell’applauso liberatorio del Franchi. Il via libera al ricordo di quello sventurato ragazzo che s’era gravemente infortunato giusto due giorni prima di arrivare a Firenze, senza che la Fiorentina recedesse dalla volontà di prenderlo con sé. E che dopo la guarigione s’era infortunato ancora, e ancora in modo pesante. Ma che quando finalmente era stato lasciato in pace dalla sfortuna aveva mostrato al mondo un talento superiore, di quelli che vengono fuori una sola volta per ogni generazione di calciatori. Tutto questo apparteneva, e continuerà a appartenere, soltanto a Roberto Baggio e a Firenze.
Baggio e BorgonovoMa poi c’è un’appendice a questa storia. Una sera di ottobre del 2008. Allo stadio Franchi si affrontano le vecchie glorie di Fiorentina e Milan, due delle ex squadre di Stefano Borgonovo. Che è già paralizzato dalla SLA, ma non smetterà di combattere fino all’ultimo giorno. Borgogol, come lo chiama la Fiesole, entra in campo sulla barella a rotelle. A spingerla è Roberto Baggio, anch’egli doppio ex, e pure lui impossibilito a giocare anche un solo minuto per via dei danni lasciati alle ginocchia da una carriera spietata. Su quel prato i due avevano formato una coppia grandiosa, capace di far sognare il popolo viola. Adesso sono lì a bordo campo, consapevoli che rimane loro poco tempo da trascorrere insieme. Come in una scena finale di Amici miei, quando dopo tutto il riso e il divertimento c’è spazio soltanto per la tristezza.
 

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