Gli anni più belli della storia del Brescia sono quelli condizionati dalla presenza di Roberto Baggio. Qui, a Brescia, ci è venuto solo per la volontà decisa e vorace di uno degli allenatori più pazzi e tosti che abbia ma visto, Carletto Mazzone. Dopo l’esperienza nerazzurra Baggio è solo, lasciato a se stesso. Nessuno sembra volerlo più, i troppi infortuni ne hanno condizionato la carriera e nonostante ciò è riuscito a vincere tutto quello che c’era da vincere, l’unico rimpianto è forse il Mondiale di USA 94 ma i campioni non rimangono fermi a piangersi addosso, i campioni reagiscono, sempre.
Baggio si sta allenando in solitaria a Caldogno, Mazzone ha saputo di una trattativa per lui da parte di una piccola realtà della Serie A e a quel punto corre dal presidente Corioni che aprire il portafogli e accettare l’arrivo di uno dei più grandi di sempre. Alla piazza farà bene avere un’icona così, da godere ogni domenica.
La parentesi di Baggio al Brescia è la storia di un campione infinito, è la perfetta conclusione di una carriera che ha ammaliato tutti gli appassionati di calcio. Si parla fin troppo spesso delle bandiere, dei leader che rimangono attaccati a una stessa maglia per tutta una carriera. Baggio non lo è stato, eppure è uno dei calciatori italiani più amati di sempre, forse il più amato di sempre perché Roberto Baggio è stato, per anni, il giocatore simbolo del calcio italiano, anzi è stata la bandiera della Nazionale Italiana.
Non mi piace parlare di statistiche, di numeri ma Baggio negli ultimi quattro anni della sua carriera segna 45 gol in 95 presenze, giocando al fianco di giovani giocatori interessanti che poi diventeranno campioni del mondo nel 2006 come Luca Toni e Andrea Pirlo. Proprio lui, Trilly Campanellino, come lo chiamerà qualche anno dopo il telecronista Carlo Pellegatti nelle partite in cui vestirà la maglia rossonera, è l’artefice di un assist fuori dalla concezione umana: era l’1 aprile 2001, Brescia-Juventus, il regista bresciano effettua un lancio dalla linea del centrocampo e pesca Roberto Baggio, che nel frattempo si era sfilato dalla marcatura bianconera, solo davanti a Van der Sar. Il portiere olandese sembra in vantaggio sul pallone ma Baggio s’inventa un aggancio-dribbling al volo, qualcosa di fuori dal mondo, qualcosa che racchiude l’essenza stessa di Roby Baggio. Inutile dire che quel pallone è poi finito in rete.

Baggio chiude la carriera a Brescia. Non volerà mai, nel 2002, ai Mondiali di Corea. Il Trap non si fida delle sue ginocchia e forse, visto com’è andata meglio così anche se una Nazionale con Maldini, Nesta, Totti, Del Piero, Baggio e Vieri probabilmente sarebbe stata fuori categoria anche con Byron Moreno che fischiava contro di noi a qualsiasi contatto.
Per me Roberto Baggio è il calcio. Sono nato mentre si decideva di consegnare al Divin Codino il Pallone d’Oro, ho vissuto i primi anni di vita con il pallone attaccato ai piedi e le prodezze di Baggio negl’ occhi. Sono cresciuto mentre la sua carriera si stava esaurendo ma quella parentesi a Brescia è la metafora perfetta del supereroe che dopo essere caduto nell’oblio riesce a rialzarsi e diventare più forte di prima. L’addio al calcio di Baggio sarà il 16 maggio 2004 in Milan-Brescia a San Siro. La mia squadra del cuore, nel mio stadio del cuore che saluta, tutto in piedi, il mio giocatore del cuore.
Perché Roberto Baggio è stato un giocatore di pura estasi. Un uomo semplice che quando scendeva in campo con pantaloncini e maglietta diventava un’entità dalla difficile comprensione umana. Baggio mi ha cambiato il modo di vedere il calcio, si muoveva in modo soave e leggiadro, era quasi metafisico. Le sue giocate, i suoi dribbling, i suoi gol non si limitavano solo ad evocare palpabili emozioni ma erano pura gioia per l’intelletto. Baggio mi ha cambiato il modo di vedere il calcio, di interpretarlo, di giocarlo e per quanto possibile di insegnarlo. Quando ho avuto la fortuna di incontrarlo, lo scorso anno al Gran Premio di MotoGP di Misano Adriatico questa cosa non potevo non dirgliela. Lui mi ha guardato, mi ha sorriso e mi ha risposto: «Ho fatto solo ciò che mi veniva meglio». Signori, questo è Roberto Baggio.

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