Uno spettacolo che ti trasforma:

“Due ore fa ero a teatro, c’era Federico Buffa che raccontava le Olimpiadi del 1936. Domani ho un esame, ma non me ne frega niente.”

Olimpiadi 1936
Sono davanti al lavandino e devo lavarmi i denti. Prima però mi sciacquo lo faccia. Sento che quell’espressione inebetita che in questo momento si riflette sullo specchio del bagno sia il caso di togliermela.
Due ore fa ero a teatro, c’era Federico Buffa che raccontava le Olimpiadi del 1936. Domani ho un esame, ma non me ne frega niente.
Dopo una serata così, un sacco di altre cose hanno iniziato a prendere significato, come quest’acqua, che non si ferma solo perché non voglio chiuderla. Scorre, quasi inesauribile, come le parole di Buffa sul palco del teatro di questa città, ed io provo a tenerla con le mani, unendole come a formare una piccola bacinella, ma l’acqua non ci sta tutta, come non ci stanno nella mia testa tutte le notizie, le storie, le citazioni, gli aneddoti che ho ascoltato stasera. Ho voglia di mandare indietro la pellicola. Ciak!
Non avrei mai creduto di trovare un biglietto per questa serata: l’evento era tutto esaurito da mesi, ma io avrei fatto carte false per entrare lì dentro. Mi ero preparato a implorare la ragazza con gli occhiali che lavora in biglietteria, inventandomi che ne so, che su Federico Buffa io ci avrei dovuto fare la tesi universitaria, che non avrei solo dovuto vedere lo spettacolo, ma che lo avrei dovuto anche incontrare per fargli delle domande. E invece.
Sto per uscire, sono pronto a cercare di convincere la ragazza della biglietteria, quando il cellulare squilla. Un mio amico è venuto a sapere da un altro mio amico che cerco un biglietto per stasera. Mi chiede se lo voglio, certo che lo voglio.
Lì ho capito che sarebbe successo tutto quello che desideravo: lo spettacolo e l’incontro dopo lo spettacolo. Perché a volte, quando il caso ti dà una mano, te la dà per bene, e ti concede le opportunità che desideri. Al resto, a come gestirle, devi pensarci tu.

“Siamo nel 1936, abbiamo lunghi ed eleganti abiti scuri, nei locali con le sedie in legno ci sono bellissimi pianoforti, fisarmoniche che non si fermano mai, voci di splendide donne a costruire musica. Sì, perché c’è anche la musica, nello spettacolo: ad accompagnare (ed accompagnarci) in questo stupendo andare e andare”

Federico Buffa Olimpiadi 1936
Entro nel teatro, cercando di non caricarmi di troppe aspettative ma senza riuscirci granché, poi inizia.
Non ne so molto di queste cose, di sceneggiature, di regia, ma ben presto mi rendo conto che ciò che sta succedendo sul palco è uno dei più grandi capolavori del teatro contemporaneo.
Buffa ci fa viaggiare lontano, sia nei luoghi (lo spettacolo è naturalmente ambientato a Berlino, ma gli aneddoti si estendono dal nord al sud delle Americhe, dalle Coree al vecchio impero Asburgico) sia nel tempo: siamo nel 1936, abbiamo lunghi ed eleganti abiti scuri, nei locali con le sedie in legno ci sono bellissimi pianoforti, fisarmoniche che non si fermano mai, voci di splendide donne a costruire musica. Sì, perché c’è anche la musica, nello spettacolo: ad accompagnare (ed accompagnarci) in questo stupendo andare e andare ci sono tre validissimi artisti, in grado di seguire a tempo il racconto, in grado di seguire il narratore ovunque vada. La cantante, per dirne una, ha eseguito brani in due, tre, quattro lingue diverse, seguendo l’itinerario delle vicende descritte.
Due ore di Storia ad un ritmo sconvolgente, Storia che si fa seria a volte, mentre altre fa sorridere in maniera sincera.
Due ore passate così, e non credo sia giusto dire altro, se non ”andatelo a vedere, ascoltare, sentire dentro di voi, questo spettacolo qua”.
Finisce tutto quanto senza che me ne renda neanche conto: ero ancora intento a registrare una delle ultime frasi dell’esibizione. Diceva una cosa così: “A volte sembra che la terra giri al contrario, che si capovolga, come se volesse fermare il suo eterno girare, come se volesse trattenere uomini straordinari e le loro imprese”. Evidentemente ero rimasto un po’ indietro perché, il mio mondo, si era fermato per davvero, ed ancora non aveva ricominciato a girare.
Applausi, applausi, applausi, ma adesso è proprio ora di andare.
L’uscita di sicurezza si apre, ed un ragazzo vicino a me dice che dopo due ore del genere sentire l’aria fredda della realtà gli fa proprio schifo. La penso come lui.
Lo aspettiamo, Buffa, che ne dici? Dico che ho delle cose da chiedergli, ne ho a centinaia, a migliaia. Ora non posso che stare vicino all’uscita posteriore del teatro ed aspettare.
E invece, ancora.

“Mi chiede da dove vengo, che ci faccio in questa città. Mi verrebbe da rispondergli che vorrei saperlo anche io, che ci faccio qua, ma poi capisco che, alla fine di tutto questo, è Federico Buffa che sta chiedendo della mia vita, non io della sua.”

Federico Buffa
“Ragazzi, il signor Buffa vi aspetta all’ingresso principale”. È la ragazza della biglietteria, quella che ero pronto a pregare di aiutarmi, io che non ho pregato mai seriamente.
C’è gente che inizia a volare. Mi sento come quelle fan che si vedono nei vecchi documentari, quelle fan che quando vedevano John Lennon o Ringo Star scoppiavano in pianti isterici.
Aspetto, tra poco sarà il mio turno. Ora? Ora. Vado.
Gli stringo la mano, sento che è fatto di carne ed ossa anche lui, e la cosa mi tranquillizza non poco: basta con la mitizzazione, che magari si mette pure in imbarazzo.
Lo saluto, ma non so che altro dire. Lui se ne accorge, e si accorge anche che non sono del posto, ma non ho ancora capito come abbia fatto. Mi chiede da dove vengo, che ci faccio in questa città. Mi verrebbe da rispondergli che vorrei saperlo anche io, che ci faccio qua, ma poi capisco che, alla fine di tutto questo, è Federico Buffa che sta chiedendo della mia vita, non io della sua. E allora gliel’ho raccontata, per quel che il tempo mi concedeva.
E’ proprio vero che a volte il mondo si gira al contrario, ma è altrettanto vero che le persone, tutte, hanno qualcosa da raccontare, se in quel momento se la sentono.
di Giovanni Esperti