C’è una foto ormai antica che ancora gira in rete: un giovane Roberto, occhi stretti e mezzo sorriso, sta seduto sul letto della sua cameretta, in mano il vinile di Thriller appena uscito, sul muro le sciarpe del calcio inglese dell’epoca. Su un’altra parete che non vediamo, probabilmente c’è il poster di Zico, suo idolo assoluto. Siamo a Caldogno, provincia di Vicenza, nordest, primi anni 80.

Così appare alla ribalta del calcio nazionale Baggio Roberto da Caldogno, prima di essere Raffaello, il Coniglio Bagnato, il Divin Codino, Robibaggiotuttoattaccato. Quando è soltanto il “bocia (ragazzino) dei miracoli” come recita un poster dell’epoca che ti danno in regalo col giornale. Quando è solo “el cavreto”, la capretta, per la sua attitudine a saltellare in giro per i campi da calcio, ad evitare i tacchetti diretti alle sue gambe, quelle sì, già divine e per la sua testa gonfia di riccioli.
Testa riccia, occhi stretti, spalle ancora deboli per le montagne di sogni che devono sostenere ma chi se ne importa tanto le ginocchia, al tempo, sono ancora buone.
Roberto Baggio, il fenomeno di Vicenza
Roby è il diamante grezzo scovato nelle nebbie della provincia e portato subito al glorioso Lanerossi Vicenza, a dir la verità in quei giorni non più tanto glorioso.
Da quel momento Baggio diventa croce e delizia di una città che campa di calcio, ne diventa luce, speranza, eroe e dove ci sono eroi e nebbia fioriscono le leggende e le leggende diventano epos.
Si raccontano dei suoi primi miracolosi allenamenti, del suo debutto col Piacenza e del suo primo gol su rigore col Brescia, della morosetta Andreina e di Toto Rondon, di professione centravanti a km zero e idolo locale, che lo porta allo stadio perché il giovane prodigio non ha ancora la patente.
Si narra dell’equilibrio instabile tra la voglia di vederlo giocare nella tua squadra per sempre e la consapevolezza che vendendolo si sistemerebbero le casse societarie: l’eterno dilemma di chi tifa le piccole squadre.
Fino al terribile infortunio, primo di una lunga serie, contro il Rimini del futuro amicomondiale/nemicotattico Arrigo Sacchi (non è destino degno di un eroe epico questo?) che gli fa vedere la promozione in serie B aggrappato alle stampelle. Festeggia ma non del tutto, il primo grande esempio di incompiuto baggesco.
Gli eroi saranno pure tutti giovani e belli ma, si sa, sono personaggi pesanti, controversi e a volte scomodi: i vicentini lo amano ma non tutti, secondo grande incompiuto baggesco.

Roberto Baggio - Vicenza
Roberto Baggio – Vicenza

Si narra, infatti, anche del gran rifiuto di ritornare a fine carriera e della porta chiusa in faccia al suo primo allenatore che va a chiederglielo, delle mancate dichiarazioni d’amore pubbliche al Lane a vantaggio della Fiorentina, dell’incoerenza tra il buddismo e la passione per lo spiedo de osei, delle lezioni di dizione per perdere l’accento veneto.
Tutti a Vicenza hanno un racconto, vero o presunto, su di lui: un parente che ci è andato a scuola, un vicino che ci giocava insieme, un amico che prega con lui. Baggio sta a Vicenza è come gli U2 stanno a Dublino. Sono tutte vere queste storie? Non si sa, ma stiamo parlando di epica e quindi poco importa.
Di sicuro si sa che Baggio oggi a Vicenza ci vive e dall’alto della sua collina ascolta serafico le lodi e le critiche con gli occhi stretti e il mezzo sorriso. Non si cura di loro ma guarda e caccia.
Guarda quella città che lo ama ma non del tutto, da cui si è staccato ma mai troppo, in cui ha giocato ma troppo poco. Quella città da cui ha spiccato il salto verso un glorioso futuro e farlo con un ginocchio solo è cosa da eroi veri.
Scritto da Osvaldo Casanova