Spesso i giovani cercano i propri idoli tra i nomi più altisonanti, soprattutto nel mondo del calcio, senza pensare che un giocatore venticinquenne del Livorno come Morosini può essere un valido esempio

“Mai abbattersi”, è il segreto di ogni guerriero, Morosini infatti sapeva solo stringere i denti e tenere la testa alta. Nel 2001 a quindici anni perde la madre Camilla e due anni dopo muore persino il padre Aldo. Chi di voi non si sarebbe abbattuto se a 17 anni, neanche maggiorenne, si fosse trovato senza genitori? Chi di voi, in una circostanza simile, non avrebbe rinchiuso i sogni e la voglia di andare avanti, nel cassetto e avrebbe buttato la chiave nell’oceano? Ma queste due enormi disgrazie non erano bastate a far tremare quel giovane bergamasco. All’età di diciotto anni, quella in cui, tanto per capirci, prendi la patente e fai progetti per il futuro, la vita decide di privarlo anche del fratello maggiore disabile.

Forte in campo ma soprattutto fuori

Forse ora la situazione comincia a farsi pesante, il fondo del barile più che raschiato, sembra ormai bucato, ma non per il “Moro”. Non ha tempo da dedicare alla rassegnazione, e ha ancora troppa voglia di vivere e realizzare progetti per il futuro. C’è da pensare a sua sorella Maria Carla, anch’essa disabile, e alla fidanzata Anna, ma soprattutto c’è ancora un sogno da inseguire, quello di giocare a calcio, la cosa che ha sempre amato nella buona e nella cattiva sorte. Un sogno che si tinge di tanti colori, soprattutto di bianconero come l’Udinese, che decide di prelevarlo dall’Atalanta quando ancora giocava nelle giovanili. Ma la sua carriera non si ferma certo in Friuli, tante sono le squadre che hanno avuto l’onore di avere in rosa il giovane Piermario: Bologna, Vicenza, Reggina, Padova fino a Livorno. Quest’ultima doveva essere solo una semplice tappa della carriera da professionista di Morosini, ma invece si è rivelata essere l’arrivo di una vita breve ma intensa.

Una vita dal finale inaspettato

E’ il 14 aprile 2012 e allo Stadio Adriatico di Pescara va in scena un Livorno in versione “non ce n’è per nessuno” che nella prima mezz’ora è già in vantaggio sul Pescara del trio Verratti-Immobile-Insigne, per due reti a zero. Una giornata partita col piede giusto e che sembrava pronta da incorniciare per i labronici, fino al trentunesimo minuto, quando giunse inaspettata l’ora di Piermario.
Durante una normale azione di attacco avversario, il giocatore cadde una volta e poi ancora, come se la forza di gravità fosse diventata ancora più forte e lo attirasse al suolo come una calamita. Quella volta Morosini non riuscì a rialzarsi e si dovette arrendere alla vita che, come l’Udinese nel 2005, lo aveva adocchiato, aveva notato in lui qualcosa di diverso rispetto agli altri, e se lo era portato via. Solo nove presenze, ma una eterna nella memoria amaranto. E’ bastato questo per i livornesi che lo hanno salutato per l’ultima volta sotto la curva del Picchi, uno stadio che non ha mai scordato il giocatore come dimostra la gradinata che dal 2013 riporta il suo nome.

Non è morto, sta vestendo una nuova maglia

Tante domande, inchieste, indagini, c’è chi dice che poteva essere salvato e chi no. Sicuramente Morosini era un giovane guerriero alla ricerca di nuove sfide da giocare e oggi non è morto come pensiamo, ma semplicemente sta vivendo una nuova avventura con una maglia che noi non conosciamo. E allora buona stagione Moro, e non scordarti di tornare qualche volta nel cuore di tua sorella, di Anna, dei tuoi compagni di squadra, dei tuoi tifosi e di tutti i giovani che hanno bisogno di trovare la forza di andare avanti di fronte alle difficoltà.