Rivaldo è uno stato uno dei giocatori più forti di tutti i tempi. Ha vinto qualsiasi cosa, realizzato valanghe di gol, giocato fino a 43 anni e a quell’età segnato nella stessa partita nella quale il figlio, Rivaldinho, ha siglato una doppietta (record finora imbattuto). Eppure, nonostante la mole di storia che ha scritto per il calcio a livello globale, non ci sembra venga mai celebrato come merita. Neppure oggi, nel giorno del suo 45esimo compleanno.

Come mai? Sicuramente perché è brutto, Rivaldo.  Esteticamente, senza dubbio. Ma questo aspetto conterebbe poco, pensando per esempio a Ronaldinho. E’ stato, però, oggettivamente meno bello da vedere anche in azione, se paragonato a Ronaldo “il Fenomeno”. Dinoccolato, ciondolante, sorretto da quelle gambe a stecco – storte, per giunta – che lo facevano sembrare spesso e volentieri sul punto di una rovinosa caduta. Non aiutato da quel volto, scavato e melanconico, specchio di una povertà difficile da scrollarsi di dosso nonostante i numerosi successi e le caterve di soldi. Senza contare le giacche e le cravatte, mai davvero calzanti a pennello.
Eppure era idolatrato, Rivaldo. Quando faceva vincere il Barcellona, con reti che nascevano in ogni modo: in rovesciata, di testa, dopo dribbling brucianti o colpi di volèe inaspettati. Ha entusiasmato con il suo passaggio al Milan, dopo aver conquistato Mondiale e Pallone d’Oro ed essere arrivato a parametro zero e, nonostante abbia lasciato poche tracce, aver contribuito all’ennesima “coppa con le orecchie” dei rossoneri. E’ stato considerato un messia, per aver deciso di portare il suo talento in paesi che di talento calcistico erano a secco come il deserto dell’acqua: in Grecia, Angola o Uzbekistan. Ha fatto sognare, persino chi pensava di essere vecchio arrivato gli “anta” e militava ancora nel campionato Amatori, quando ha più volte annunciato il ritiro e poi, come una dannazione, ritornava sui suoi passi per stregare tifoserie via via più scarne e meno calorose.
Per questo Rivaldo rappresenta l’aspetto più bello del calcio, forse ancor più di altri campioni maggiormente celebrati. E’ il classico brutto anatroccolo che si scopre cigno ogni volta che una sfera rimbalza. E noi di Soccer Illustrated, tutti o quasi campioni mancati (e spesso bruttini) non vogliamo dimenticarlo. Così, di seguito, trovate alcuni ricordi del brasiliano triste che ha saputo donare tanta felicità alle tifoserie di tutto il mondo.

Rivaldo con il figlio Rivaldinho

Di Lorenzo Monfredi: “Rivaldo. Un carioca che conclude la carriera in Grecia. Se penso a Rivaldo, penso alla pagina traslucida di uno SportWeek del 2002, quando il Brasile dei miracoli stava incantando i mondiali di Corea e Giappone. Che mondiali, quelli. Hanno un che di epico. Si vedeva molto l’influenza della corrente cibernetica, del primo sviluppo di internet. La pagina di SportWeek recitava RO-RI-RO, che era il triumvirato offensivo di quel Brasile, forse il più forte di sempre: Ronaldo-Rivaldo-Ronaldinho. Che spettacolo. L’altro ricordo di Rivaldo è lui, seduto in panca, che guarda spaesato i tifosi del Torino che maciullano il Comunale per lanciare in campo pezzi di cemento e seggiolini, durante un Torino-Milan concluso 0-3 e interrotto al 63esimo minuto per gli scontri tra granata e caschi blu”.
Di Daniele Piovino: “Rivaldo, l’uomo che qualche anno fa disse: ‘Ho costruito la mia carriera su un miracolo, ho visto il mio sogno diventare realtà senz’alcun ricorso a soldi o a manager e procuratori’. Uno di quelli che mi ricordano quella frase di Camus: ‘(L’uomo), in quanto immaginava uno scopo nella vita, si conformava alle esigenze di una mèta da raggiungere e diveniva schiavo della propria libertà’. Nient’altro. Auguri”.

Rivaldo con la maglia del Brasile

Di Michele Ottonello: “Vincere non è mai stato facile, ma Rivaldo lo sapeva fare bene. Ne sa qualcosa il Valencia che, da ormai sedici anni, porta ancora sulla propria pelle le tre cicatrici inflitte dal gigante brasiliano. Un tre a due blaugrana per nulla sorprendente, a differenza della tripletta di Rivaldo, che all’ottantanovesimo capisce che un punto solo non serve a niente e si inventa una rovesciata dal limite dell’area che fa saltare tutti i tifosi sulla sedia. ‘Madre di Dio, che giocatore!’ fu la reazione dei cronisti, la stessa che abbiamo noi tutt’oggi nell’ammirare i super poteri di un vero giocatore carioca”.
Di Nicolò Premoli: “Un ragazzino un giorno mi chiese chi fosse Rivaldo. Non seppi cosa rispondere. Non sapevo proprio da dove cominciare. Avrei potuto raccontargli di come riuscisse a metterla nell’angolino da ogni direzione. Quasi la fisica si prendesse una pausa al momento dell’impatto del suo piede con il pallone. Ma perché non parlargli di quando alzò la Coppa più importante con il suo Brasile? C’era chi al campetto gridava sempre ‘Ronaldo’, ma non mancava mai chi dopo un dribbling ripeteva a gran voce ‘Rivaldo, Rivaldo!’. Potevo dirgli di tutto ma accennai un sorriso e aprii il primo video di YouTube disponibile. La maglia dell’Olympiakos, 32 anni ed il vizio per lo spettacolo immutato dai tempi del Barca. ‘Cavolo, era proprio forte’. La meraviglia nei suoi occhi, lo stupore per una classe senza tempo”.

Rivaldo e le sue giacche e cravatte sempre troppo larghe