Dal 2006 al 2017. Sarà la decade che nei libri di storia verrà ricordata come la generazione degli extraterrestri del calcio, che un bel giorno decisero di atterrare a Barcellona per vincere e divertire. Un assioma fino ad allora mai riuscito a nessuno. Come tutte le cose belle, purtroppo penserà chi ama il pallone alla follia, doveva finire. Il 19 aprile l’era dei fenomeni blaugrana, per merito della Juventus, ma anche e soprattutto dello scorrere inesorabile del tempo, si può dire conclusa.
Il Barcellona, però, è stato di parola: ci ha provato, ha creduto nella remuntada, ha pressato e attaccato per 90 minuti. Non c’è stato nulla da fare. La Juventus ha dimostrato di essere una squadra solida, decisa e in grado non solo di attaccare con carattere ma di difendere con medesimo coraggio. Non ha preso gol in due partite e soprattutto al Camp Nou, la vera doppia impresa.
“Sangue freddo e cuore caldo”, recita il telecronista all’inizio del match. I bianconeri hanno messo in campo entrambi. Si sono presentati senza paura, con un 4-2-3-1 che non lasciava spazio a tentennamenti: o fai la partita perfetta studiata in settimana o la fine del Psg. Hanno studiato.

Tra folate blaugrana e ripartenze bianconere

La Juve ha pressato fin dai primi minuti molto alta, mettendo in difficoltà un Barça decisamente più vivo dell’andata. Intenso ma non sempre ben organizzato. Alcune geometrie in più le ha date Busquets, assente nella prima gara, mentre Iniesta e Messi sono apparsi tanto vogliosi quanto arrugginiti. Il vero trascinatore per cercare di recuperare è stato Neymar, che ha puntato più volte Dani Alves e i centrali Bonucci e Chiellini, senza riuscire a sfondare il muro allestito da Allegri.
Le occasioni, in una gara tesissima, sono fioccate da una parte e dall’altra. Senza, però, che arrivasse il colpo in grado di stendere gli uni o rilanciare gli altri. Primo tempo equilibrato, tenendo conto del diverso atteggiamento dovuto ai 3 gol dell’andata a favore della squadra italiana. Il Barça si è dimostrato ancora in grado di pungere, anche se la voglia matta di segnare ha tradito i suoi solisti. Più volte, con uno-due o trinagolazioni, hanno avuto la possibilità di trafiggere Buffon, senza esito.
Recuperare 4 gol ai parigini, evidentemente, gli ha fatto credere che qualsiasi cosa potesse sempre accadere. Ma era già successa. E i miracoli, da oltre duemila anni, si ripetono una volta sola. Messi, che oltre ai suoi compagni giocava la sfida nella sfida contro Dybala, considerato erroneamente dalla stampa come il suo erede, non è riuscito a sconfiggere il destino, che beffardo ha fatto capire persino al fuoriclasse che la clessidra non si riporta indietro tanto facilmente.

Passaggio ideale di testimone Messi-Dybala

Il vero spettacolo sugli spalti del Camp Nou

Tante le occasioni, come detto, da una parte e dall’altra. Naturalmente, più da quella dei giocatori blaugrana che dopo i primi 45 minuti a prendere le misure della difesa avversaria sono tornati nel rettangolo verde con ancora maggiore voglia. Il sudore, finalmente, si è visto scorrere sulle maglie degli spagnoli. Invano. Perché la difesa, o meglio la fase difensiva della Juve è apparsa impenetrabile. Prima con Bonucci e Chiellini centrali granitici, coperti ai lati da un Dani Alves in versione mondiale e un Alex Sandro che nonostante qualche sbavatura non ha perso la concentrazione. Poi con l’ingresso di Barzagli, è stato chiaro che nonostante le raffiche del Barcellona la porta bianconera sarebbe rimasta inviolata.
Non sono mancate le occasioni per la Juve, con Higuain, Cuadrado e “la Joya” Dybala. Ma gli dei del calcio, che hanno deciso di far cadere le stelle catalane, si sono dimostrati clementi con chi ha dato tanto allo sport più bello del mondo. Sconfitti sì, umiliati non sarebbe stato giusto.
Lo spettacolo vero, oltre all’interno del campo, si è avuto sugli spalti.  Perché nel teatro sontuoso del Camp Nou, i tifosi del Barcellona hanno applaudito con entusiasmo per tutta la partita, persino i tocchi sbagliati e i cross fuori misura dei loro beniamini. Un incitamento costante, quasi commovente, per chi è abituato a condividere gioie (tante) e dolori (rari) del Barcellona, il quale si può consolare per essersi confermato “més que un club”.