La strada non è fatta soltanto di polvere o muri scrostati da mille pallonate. Non ci sono semplicemente rasoterra che fanno la barba al cartello dello STOP e rimbalzano sul marciapiede.
C’è anche una strada diversa. Una strada ancorata ad un centinaio di metri dal porto e ben nascosta dalle luci al neon. Nike la chiamò “The Cage”, la Gabbia. Ma per chi inseguiva una sfera stropicciata nei peggiori cortili della città era qualcosa di molto di più di un semplice spot televisivo.
Tre contro tre, una porta larga una cinquantina di centimetri. Ventiquattro giocatori per otto squadre che a leggerle ora strappano un sorriso malinconico. Era il 2002, quello dei Mondiali di Giappone e Corea, della scaramanzia di Trapattoni e dell’arbitro Moreno. Ma questa è un’altra storia, decisamente.

Dai Cerberus a Eric Cantona
Quella della gabbia è la storia dei Cerberus, dei Tutto Bene e di Eric Cantona che veglia tutto dall’alto. Dando il via alle sfide, simulando con il suo bastone le stoccate fatte di colpi di tacco e sponde che si consumano qualche metro più in basso.
Nella gabbia per vincere basta segnare un gol. L’uno a zero è l’unico punteggio che conta: una rete segnata per passare il turno, una subita per abbandonare il torneo ricevendo uno sguardo carico di sdegno da Cantona.
Segnare un gol. Potrebbe sembrare un’impresa semplice. Se non fosse che in quel torneo c’è chi nasconde la palla ancorandola ai tacchetti. Ci sono Cannavaro e Rio Ferdinand che non vanno per il sottile.
Di destro o sinistro? Non è un problema
In quella gabbia il talento è talmente concentrato che quel pallone argentato quasi danza. Sotto la suola di Denilson o sulla schiena di Figo. Con il doppio passo di Ronaldo o i colpi di tacco di Saviola. Saviola, uno dei tanti eredi di Maradona passati prima per la Spagna e poi per la Grecia. Qualcosa in più di una semplice meteora, entrata nell’orbita del calcio che conta e dispersa nella galassia di quegli argentini che davano del “tu” al pallone.
Non poteva che uscire per primo da quella gabbia insieme ai compagni di squadra Ljungberg e Luis Enrique: eppure c’era tutto in quel terzetto. Tanta fantasia e la concretezza di quel centrocampista svedese che all’Arsenal ancora ricordano involarsi sulla fascia. Destra o sinistra? Non era affatto un problema. Quando però davanti hai Davids, Thuram e Wiltord il compito si fa più arduo, e quella piccola gabbia è sempre più stretta di quanto possa sembrare.

L’astuzia che si fa beffe della tecnica
La strada non è fatta soltanto di polvere ma anche di “chi fa questo vince tutto”. Non poteva andare diversamente nella gabbia dove si gioca la finalissima. Triple Espresso contro Os Tornados.
Henry, Totti e Nakata contro Figo, Roberto Carlos e Ronaldo.
Il pallone argentato della Nike che cade per l’ultima volta al centro del campo. Potrebbe essere l’inizio dell’ennesimo scambio di dribbling, di un’altra manciata di numeri da ripetere (con alterne fortune) al prossimo calcetto.
È invece il tripudio della semplicità ed al contempo del genio. Henry finge di allacciarsi uno scarpino, si abbassa. Totti salta sulla schiena del francese ed insacca con un colpo di testa tra lo stupore di Roberto Carlos e le risate piene di approvazione di Cantona.
La malizia che supera il doppio passo, l’astuzia che si fa beffe della tecnica. La irride e la scavalca spedendo il pallone in rete.
Come in una gabbia che si rispetti. Proprio come in strada.
La Gabbia sarà una delle discipline in cui i più valorosi potranno cimentarsi durante il torneo organizzato da Calciatori Brutti in collaborazione con Soccer Illustrated. Si chiama I Giochi del Calcio di Strada e si svolgerà in 6 location in tutta Italia, dal 17 giugno al 23 luglio, dove in ognuna di esse troverete degli appositi corner nei quali il “magazine che il gioco più bello del mondo merita” sarà distribuito. Parliamo di Capo d’Orlando (Messina), Gaeta (Latina), Polignano a Mare (Bari), Finale Ligure (Savona), Rimini/Riccione e Bibione.