Alla fine che cos’è?

Alla fine è un’emozione. Alla fine e nel principio. Tutto nasce e finisce in un brivido che senti e che molti non potranno capire mai e in quel brivido c’è tutto: la fatica, l’impegno, il lavoro, la dedizione, la passione, l’energia, la motivazione, l’entusiasmo, la voglia di arrivare e di vincere, ché senza queste manca tutto il resto spesso. Mi ricordo ancora un’intervista a Zinedine Zidane di dieci anni fa. Il giornalista Carlo Antonelli, allora direttore di Rolling Stone, chiese a Zidane se avesse mai capito perché lui era lui e gli altri no. Zidane gli rispose che no, non lo sapeva. E allora glielo spiegò Antonelli: tu sei Zinedine Zidane e gli altri no perché tu ogni giorno, ogni minuto della tua vita lavori per esserlo, per restare ciò che sei diventato e per migliorarti.

Mi dispiace per coloro che sostengono che giocatori come Marco Materazzi fossero scarsi o delle teste calde. Mi dispiace perché non hanno capito granché.

Mi dispiace perché se un giocatore arriva in serie A all’età in cui ci è arrivato lui non succede per caso. Succede perché crede e lotta ogni centimetro, allenamento dopo allenamento.
Sacchi ha smesso di allenare perché non riusciva a pensare ad altro. Non c’era vittoria che lo rilassasse. E se qualcuno gli diceva: mister, abbiamo appena vinto la Champions, si diverta un po’, lui replicava: no, se no gli altri ci potrebbero superare.
Zidane. Materazzi. Arrigo Sacchi. E come loro altri, molti altri. Gli uomini in copertina, quelli che vogliono riportare in alto il Parma, Gianluca Di Marzio, Fabio Fagnani (si, il coordinatore di Soccer Illustrated che ha fatto notte per chiudere questo numero): il calcio è pieno di gente che nonostante gli scandali, gli errori, le offese e le calunnie sacrificherebbe tanto e (quasi) tutto per regalarsi e regalarci il brivido di una giocata, di un gol, di una parata da urlo, di una chiusura in tackle davanti alla porta che ti brucia la gamba ma ti riempie l’anima o anche solo per raccontarci tutto ciò.

Arrigo Sacchi

E il motivo non è mai il denaro. Sì ok, sarei ingenuo a pensare che il denaro non conta. Ma conta fino a un certo punto.

Il motivo per il quale il calcio è il calcio – nel bene e nel male – è che ogni lacrima di sudore ogni maledetta bestemmia ogni tiro a un pallone comincia e termina, nasce e tramonta, con una sensazione ancestrale che sa di gioco e di libertà. Alla fine tutto inizia e finisce con un’emozione. È per questo che Pippo Inzaghi esultava come un posseduto pure sul 4 a 0 o che un intellettuale compassato ammazzerebbe pur di difendere la propria squadra.
È per questo che il calcio è il gioco più bello del mondo. A noi interessa la sfida: godere o soffrire. Punto. Noi continueremo a innamorarci di quelli che vanno contro tutto e tutti. Come Garrincha (leggete la sua storia a pagina 21, meraviglia pura). E il magazine che il gioco più bello del mondo merita è finalmente arrivato. Si chiama Soccer Illustrated e lo avete tra le mani. E se vi state chiedendo cosa sia questo giornale la risposta è una e una sola: è come il calcio. È un’emozione, alla fine.