Finora le persone che più di tutte mi hanno insegnato a usare la testa sono state le donne, i napoletani e gli olandesi.

Devo riconoscere che, seppur in minima parte, anche quel mix sulfureo di ricordi accademici, che da Erasmo arrivano fino al professor Bellavista, mi ha aiutato a non «rimanere con una mano avanti e una dietro», come diceva spesso mia madre (donna partenopea, per l’appunto). Con usare la testa intendo principalmente due cose: non guardare il dito (la palla) ma la luna (il gioco), e pensare alla conseguenza di quello che stai per fare; però non alla prima conseguenza, ma alla conseguenza della conseguenza.
Essere in anticipo sulle mosse degli altri, prevederle, non rimanere sorpresi da esse. Insomma, sto parlando di logica e strategia. Cito un passaggio di Così parlò Bellavista che rende l’idea: «Voi dovete farvi capace che tutti noi napoletani dobbiamo forzosamente votare compatti per il Partito Comunista Italiano e che, immediatamente dopo, dobbiamo uscire dalla NATO e stringere un patto d’alleanza con la Russia.»
«Ma perché Salvatò » dice Passalacqua «tu sei convinto che la Russia sia più forte dell’America?» «Ma a me che me ne importa se è più forte l’America o la Russia, dottò, questo a me non interessa. Andiamo al sodo. Andiamo alla sostanza e vediamo invece che fine facciamo noi se scoppia una terza guerra mondiale e ci fanno prigionieri» e così dicendo Salvatore alza tutte e due le braccia in segno di resa. «Dunque, scoppia la terza guerra mondiale, ora, se noi ci siamo alleati con l’America, da chi veniamo fatti prigionieri? Dalla Russia, no? Correggetemi se sbaglio. Ebbene io vi dico che noi napoletani i prigionieri in Russia non li possiamo fare. Ma che stiamo scherzando: in «primis» non siamo abituati al clima rigido della Siberia che è freddo, ma freddo veramente, in «secundis» non ci abbiamo l’equipaggiamento necessario. Insomma, dottò, in parole povere, ci puzzeremmo’ dal santissimo freddo. Ora, diversa è la situazione se invece ci mettiamo con la Russia. E sì perché in questo caso veniamo fatti prigionieri automaticamente dagli americani e mandati subito in America. E là, con l’aiuto di Dio e con un poco di commercio, uno si potrebbe pure imparare la lingua, che poi, siccome da cosa nasce cosa, vuoi vedere che facendo la guerra ci troviamo pure un buon posto?»

«E se siamo fatti prigionieri dai cinesi?» chiede il signore venuto per l’appartamento. «Peggio che andare di notte, dottore mio! Quelli i cinesi mangiano una schifezza. Immaginate che cosa passerebbero a noi poveri prigionieri: sì e no una palla di riso al giorno. Aè! E come volete che io, Coppola Salvatore, con la fame che mi ritrovo, posso campare con una palla di riso al giorno?».

Voi direte: «Dotto’, ma che c’entra questo con Non guardare la palla di Gullit?». Eh, c’entra c’entra, perché Gullit, che tutti noi ricordiamo con quelle treccine balde da animatore di un villaggio pieno di sole e belle donne, non ha scritto mica una biografia, ha scritto un libro per dirci come si deve interpretare/guardare una partita di calcio, cosa dobbiamo dedurre da una formazione, da uno schema, da un cross, da un passaggio… da tutto. «Guardate dove arriva il cross e soprattutto a chi arriva e a chi mirava quello che lo ha fatto. Quello è il vero pericolo. La palla è come la scia che lascia l’aereo in cielo, ma l’aereo intanto si muove», dice Gullit.
Qui ce l’ha coi difensori. «Quando giocavo io il difensore aveva sempre la mano su di te, ti sentiva, non perdeva mai il contatto». E poi la critica alle statistiche, ai numeri che, se non tradotti, non dicono niente: quel giocatore ha corso 20 chilometri? Male, sono troppi, il calcio non è una maratona. 80% di possesso palla e avete perso 3-0? Somari. Possiamo fare tutte le obiezioni che vogliamo, però dai, come si fa a non essere d’accordo con Gullit?
Sarà che a noi di Soccer Illustrated i numeri non piacciono particolarmente, ma penso che la verità sia un’altra: anche se non ho apprezzato la sua carriera da allenatore, credo che Simba (cit. Gianni Brera) abbia scritto un libro intelligente, un libro che, oltretutto, rafforza la sua immagine di uomo carismatico («maestoso come cervo che esce di foresta», nell’impagabile definizione di Vujadin Boskov), proprio perché non è la solita autobiografia.
Dopo averlo letto, mi è venuto il sospetto che al calcio attuale non manchino campioni ma giocatori lungimiranti. Giocatori stoici ed epicurei allo stesso tempo, in grado sì, di divertire e godere come bambini, ma anche di pensare, all’occorrenza, come Coppola Salvatore. Giocatori come Cruijff e Frank Rijkaard, tulipani mai appassiti, tulipani senza tempo.