Nello sport il ruolo dell’arbitro è da sempre il più delicato. Nel calcio, inoltre, l’arbitro è uno dei personaggi più criticati e incompresi. Ma che persone sono realmente gli arbitri, qual è il loro ruolo sul campo e nella società?

A spiegarcelo non è Marcello Nicchi, ma Federica Ombrato, attrice presso il Centro Teatrale MaMiMò del Teatro Piccolo Orologio di Reggio Emilia e tra i protagonisti dello spettacolo “Nessuna pietà per l’arbitro”, che nonostante sia totalmente votata al palcoscenico, è pur sempre di origini napoletane, e si sa che a Napoli la passione per il pallone scorre nelle vene.
Federica, come donna, quale è il tuo rapporto con il pallone? Sei la classica “anticalcio” o una eccezione che conferma la regola?
 “Diciamo che non sono una patita di calcio, anche se il mito di Maradona è parte di me, ma il mio rapporto con questo sport è variato nel tempo. Prima non mi suscitava nessun interesse, poi, “essendo costretta” a sorbirmi numerose partite semplicemente perché vivevo con un tifoso sfegatato, ho iniziato ad apprezzarlo. Alla fine credo che ci siano molte affinità col teatro: tante prestazioni individuali ma anche grande gioco di squadra; tanti colpi di scena e momenti indimenticabili. Passione e tecnica sono fondamentali per offrire al pubblico uno spettacolo avvincente, sia nel teatro che nel calcio. Direi che sono stata convertita! “.
 Teatro e calcio sono un binomio azzeccatissimo. Ma veniamo al dunque, come racconteresti al pubblico lo spettacolo “Nessuna pietà per l’arbitro”?
 “La storia è molto complessa. In sintesi è uno spettacolo che parla della Costituzione e del rapporto che abbiamo con le regole dello Stato, incarnate simbolicamente dalla figura dell’arbitro. La trama parte da una famiglia piuttosto sgangherata, unita solo dalla passione per il basket. Il figlio si ritrova a fare un colloquio di lavoro con l’arbitro che la sera prima, durante una partita, gli aveva negato un fallo. Dopo un acceso dialogo tra i due, il giovane atterra l’arbitro. Inoltre, nel corso della storia, la famiglia dovrà trovare una soluzione di fronte alla morte, comicamente inevitabile, dell’arbitro: il padre, che rappresenta “il giusto”, vuole chiamare la polizia; la madre invece, che farebbe di tutto per salvare la famiglia, vuole tagliare a fette il corpo e bruciarlo nel camino. Si tratta quindi di una tragicommedia che mette in luce le differenti posizioni di fronte a un accadimento tragico. Ma il quesito che lo spettacolo vuole trasmettere agli spettatori è: possiamo fare a meno di un controllore che segua e scandisca il gioco della vita? L’arbitro serve o possiamo autoregolarci?”.
 
Wow, una vicenda complessa ma al tempo stesso curiosa, ma che tipo di arbitro è quello protagonista dello spettacolo?
 “Si tratta di un arbitro di basket che milita in promozione ed è interpretato da Alessandro Vezzani. Il motivo per cui diventa arbitro è quello di poter rimanere nello sport nonostante da giocatore non fosse riuscito a fare carriera. Durante il corso dello spettacolo, l’arbitro fornisce diverse motivazioni riguardo la sua scelta: gli piace il potere, gli piace il suono del fischietto che ferma tutti i giocatori in campo. Dice inoltre di voler fare bene il suo lavoro perché pensa che nessuno saprebbe farlo meglio di lui e che deve dare forma ai contorni della partita come farebbe un direttore con l’orchestra, come farebbe un dittatore illuminato con il suo popolo o come una legge scritta bene per la società. Alla fine però si lamenta di essere la figura più malinconica dello sport, perché gli altri non possono capire il fine alto del suo agire”.
 Quindi possiamo parlare di un arbitro frustrato ma con un pizzico di passione?
 “Esatto. Infatti quello che emerge dallo spettacolo è il fatto che fare l’arbitro deriva da una qualche frustrazione personale e toglie ai giocatori la capacità di autoregolamentarsi e avere fiducia in se stessi. Per il padre gli arbitri servono a tutelare i giocatori, mentre per il figlio gli arbitri servono a tutelare la federazione e quindi sono uno strumento del potere”.
 Chi sono, a tuo parere, gli “arbitri” nella società d’oggi?
 “Per me gli arbitri rappresentano coloro che chiedono il rispetto delle regole in qualsiasi ambito. Anche io, personalmente, ho un pessimo rapporto con le regole quando si chiede di rispettarle in modo “ottuso”. Credo che tutto abbia un margine di interpretazione. Sicuramente le regole servono, ma come confini per rendere le cose più facili e migliori. Troppo spesso però sono confini che stringono troppo e tolgono libertà. Oggi ci si scontra molto sulle regole o leggi che siano, ma penso che sarebbe interessante ripartire dalla visione collettiva di che società vogliamo creare”.
 Gianni Brera diceva che l’arbitro è un po’ magistrato e un po’ sacerdote, credi che abbia ragione?
 “Sì, penso che possa essere vero. La figura del sacerdote mette in luce il compito che ha l’arbitro di avere a che fare anche con un rito, con qualcosa che va oltre il gioco e le normative. Inoltre l’arbitro deve trovare il giusto equilibrio e quindi essere una figura “illuminata” severa ma al tempo stesso comprensiva”.
Tu che sei attrice e che sai interpretare ruoli diversi, ti caleresti mai nei panni di un arbitro in campo?
 “Ehhh non ci ho mai pensato. Potrebbe essere interessante, ma come attrice preferisco di gran lunga essere tra i giocatori perché amo molto il lavoro di squadra e in effetti, come dice una frase del drammaturgo, “l’arbitro è un ruolo malinconico” e anche un po’ solo aggiungo io. Per me è molto stimolante essere diretta, focalizzarmi sul mio ruolo e collaborare con gli altri attori”.

Un’attrice più da gioco di squadra che da gioco di terna, quindi. Adesso però ti faccio una domanda alla quale ti chiedo di rispondere con la massima sincerità. Di fronte a una partita per te molto importante, come reagiresti nei confronti dell’errore dell’arbitro commesso ai tuoi danni? Saresti comprensiva o ultras accanita?
“Se sono coinvolta, essendo molto impulsiva, penso che non riuscirei ad essere comprensiva ed entrerei sicuramente in polemica. Superata la delusione potrei prendere anche in considerazione l’idea di ragionarci a mente più lucida. Però comunque non sarei mai violenta, alla fine si tratta solo di un gioco”.
Se la discussione di Federica con l’arbitro dovesse prendere una brutta piega, quale insulto utilizzerebbe? Un classico “arbitro cornuto” o farebbe di peggio?
 “No, non credo che mi metterei ad insultare, non è nel mio stile. Cercherei di dimostrare le mie ragioni su un piano logico per poi continuare a giocare”.
Come ultras ci deludi, ma non possiamo fare altro che condividere il tuo pensiero molto sportivo. Quindi, morale della favola, arbitro pro o arbitro contro?
 (Ride) “Si non sono un ultras di Serie A e morale della favola assolutamente arbitro pro, purché stia attento a non fare troppi errori”.
 Direi che il tuo ragionamento non fa una grinza. Non ti rimane altro che dirci dove e quando venirvi a vedere.
 “Abbiamo da pochissimo debuttato a Padova nella rassegna Musikè. Sicuramente saremo nella stagione del Teatro Piccolo Orologio di Reggio Emilia, ma speriamo di avviare una tournée in giro per l’Italia. Credo comunque che i registi possano saperne di più”.
Uno spettacolo che si deve al lavoro di squadra del drammaturgo Emanuele Aldrovandi, i registi Marco Maccieri e Angela Ruozzi e gli attori Luca Mammoli, Filippo Bedeschi e Alessandro Vezzani e, appunto, Federica.