Ultras. Che parolone. Chiunque possa affermare a piena voce “io sono Ultras” è un gran tipo tosto. Senza paura.

Come nasce l’ultras? Cosa vuol dire? In pochi sapranno che la parola deriva dal francese ultra-royaliste, cioè “ultra realista”, che stava a indicare la forza politica preponderante ai tempi della Seconda Restaurazione (1815-1830).
Gli “ultras” erano gli esponenti più radicali dell’estrema destra e ancora oggi, in Francia, questa parola si usa per identificare chi promuove le proprie opinioni con eccessiva durezza di modi.
Sì, ok, queste ultime righe sono copia e incolla totale però…che roba tecnica! Andiamo coi ricordi amarcord che si va sul sicuro, facciamo un breve excursus di come sia possibile avvicinarsi al tifo e al movimento ultras.

Il primo amore

A 12 anni papà mi portò in gradinata. Il calcio era bellissimo. Parliamo dei mitici anni’90… Si viveva, si respirava profumo di cuoio. Nei bar, negli stadi, in tv, attraverso le voci emozionanti delle radioline. Lo si prendeva a piccole dosi… ma che botta quelle dosi.
Non ricordo bene il risultato di quella sera.
Fui impressionato dai boati della curva, battimani, striscioni. “Cazzo questa roba mi piace” (non capita sovente che qualcosa mi piaccia, ho gusti difficili).
“Papà, come si fa’ a fare il capo ultras?”.
“…devi andare lì al centro e dire da oggi comando io!”.

Mio padre è sempre stato un grande amante del calcio e del rettangolo verde. Ma in soldoni non si può dire che questa risposta fosse proprio buttata a cazzo. La malattia mi contagiò all’istante. Da quel giorno la bibbia del tifoso (il “supertifo”) era il mio primo pensiero ogni quindici giorni, tanto si doveva aspettare per averlo.
Da subito ho cercato i “perché”. Alcuni li cerco ancora dopo 20 anni dalla “prima volta”. C’erano pochi documenti, poche testimonianze… ti dovevi fidare di leggere questo giornalino, altrimenti dovevi essere fortunato quando ti capitava di sentire qualche parola per strada detta da qualche “pezzo grosso” della curva, che timidamente e furtivamente riuscivi ad ascoltare. Di andare in curva non se ne parlava.

L’assioma era: “Lì ci vanno i delinquenti!”

Uno dei primi racconti che non ho mai dimenticato, sfogliando Supertifo, diceva questo: “eravamo davanti all’Olimpico… un gruppo di Laziali e un gruppo di Romanisti se le stanno dando di santa ragione. Cazzotti vecchio stile, calci a sancire la supremazia cittadina. Ad un certo punto si scorge una mamma coprire il viso ad un piccolo, visibilmente scosso. Qualcuno ferma la rissa… Ah Rega’ fermi tutti, famo passa la Signora col pischello. I 2 attraversarono il campo di Battaglia, momentaneamente con le ostilità sospese…e poi via ancora baruffa!”.

Mica Male questi Ultras, mi viene da pensare. C’è un codice non scritto. Un codice d’onore. Solo gente leale tosta. Se un avversario cade per terra non va toccato, non si infierisce… non si uccide insomma. E poi tanto altro ancora: solo a mani nude, solo pari numero

Che figata!

Beh, poi tutto il resto…viaggi, coreografie, adesivi… e poi quel cazzo di calcio dai pantaloncini ascellari, maglie in lanetta… senso di appartenenza alla propria città. Tutto inscatolato in un’unica parola: ultras. Mica male. Decido che cercherò di farla mia, questa parola.