Il campionato è un grande romanzo popolare a puntate. Credete che giocare a calcio sia soltanto tracciare sull’erba di un bel prato sì o no qualche bel pensiero o una novellata che mostra l’esile traliccio della sua trama? Sbagliate, siete fuori strada: si cerca il grande romanzo a puntate.
Lo scriveva Alfonso Gatto nel 1948 su Vie nuove, la storica rivista del Pci che fu palestra anche per Pier Paolo Pasolini, e ce lo ricorda Gianni Mura nella prefazione a La palla al balzo. Un poeta allo stadio, oggi disponibile in ebook sul sito della Fondazione Gatto.
Inviato speciale de L’Unità, poeta, pittore e persino attore per Pasolini, Rosi e Monicelli, Gatto amava il calcio e questa raccolta di scritti ne è preziosa testimonianza. Tra il 1974 e il 1976 il poeta e scrittore salernitano scrive per Il Giornale di Montanelli una serie di pezzi, oltre 50, che usano il calcio per leggere e raccontare anche la società di quegli anni.
Filippo Trotta, nipote di Gatto, è responsabile della Fondazione e ha curato la raccolta.
Come è nata l’idea di una raccolta di scritti sul calcio?
Nel 2007 mi imbattei per caso in questi scritti, tutti tratti dall’omonima rubrica che aveva sul Giornale. Mi sembrarono subito molto belli e l’idea di pubblicarli per la prima volta in unico volume nelle attività della Fondazione mi sembrò un’ottima idea. Grazie al libro è nata l’amicizia con Gianni Mura, che dura da allora. Gianni Rivera, poi, è venuto due volte a presentarlo. Nel libro ci sono infatti molti riferimenti a lui, perché Gatto era un milanista riveriano.
Che rapporto aveva suo nonno con il calcio?
Aveva un ottimo rapporto. Era stato uno dei suoi amori giovanili, ma è sempre stato un amore difficile perché non poteva permettersi il prezzo del biglietto per andare allo stadio. Il fatto di essere diventato giornalista e in qualche modo di permettersi di vedere le partite è stata una sorta di rivalsa nei confronti della sua infanzia. Di calcio parla da poeta. Non era un tecnico, anche se qualche volta si spinge in tecnicismi. Ha raccontato l’ultimo calcio romantico, quello fino alla fine degli anni ‘70. Ora il calcio è un’altra cosa. Gatto ha sempre uno sguardo originale e interessante nei confronti del calcio. È interessante come un direttore come Montanelli e altri all’epoca si servissero di penne buone per parlare di calcio. Oggi non si scommette più su questo genere di critica calcistica, ma si preferisce il giornalista preparato, il grande esperto di statistica, ma non quello con quel piglio romantico e fantasioso della vecchia guardia.
Cosa direbbe Gatto del calcio di oggi?
È una domanda che mi hanno fatto spesso, quindi quello che dico è una mia supposizione. Penso che non gli piacerebbe tanto e non amerebbe la sua squadra del cuore per quello che è diventata. Troverebbe, però, epicità in certe storie, come il Napoli di Sarri o il Leicester di Ranieri. Trarrebbe spunto da questi personaggi che con un profilo basso fanno grandi cose.
Qual è il racconto che le piace di più?
Trovo molto poetico Voglio bene alla serie C, dedicato alla Salernitana. Poi Il genio del luogo, La sirena di scanno e Vivere all’italiana in cui condanna i costumi dell’epoca. Il magone di Ettore si rifà, ad esempio, all’epica greca e in alcuni passi cita, senza dirlo al lettore, Pascoli o Leopardi. Era un modo diverso di scrivere e di spiegare il calcio.
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