Certe storie terminano improvvisamente. Storie di uomini che entrano nei cuori di una nazione e di un club, con il sudore sulla fronte e il sorriso sulle labbra. Uomini semplici, dei bufali quasi, come Cheick Tiotè, deceduto il 5.06.17 per un malore.
Un fulmine all’improvviso
Procedeva tutto al meglio per Cheick, una nuova avventura, il Ramadan con tutte le sue benedizioni e un nuovo figlio in arrivo. Si sente bene, nel suo nuovo club, il Beijing Enterprise, una stagione iniziata sottotono ma che potrebbe riservare ancora molte sorprese. In una nuova città, tanto diversa da Yamoussoukro, non si vede la Luna e le persone sono diverse, più enigmatiche del suo popolo. Forse è questo il vero rimpianto di Cheick, che non sia potuto succedere a casa, con gli odori e i colori della sua terra.
Succede tutto in fretta, un allenamento che sembra come gli altri, un po’ di corsa, stretching e esercizi di resistenza. È un attimo. Un male inaspettato che subito lo prende. I compagni non sanno cosa fare, pensano che sia uno scherzo, i medici no. Hanno già capito la situazione, sanno già che è tutto inutile. Cheick è morto, una delle più grandi figure del calcio ivoriano, uno che ha basato la sua fama sugli scontri fisici, crolla, come un filo d’erba al vento. Quando sente il primo dolore però sorride, non poteva che morire adesso, ora che il suo cuore è in pace e lo spirito pure. Si dice che sia in questi casi che l’anima ha il suo più più grande flashback, ricordando una vita vissuta a pieno.
Il calcio come riscatto
“Il calcio per me è stata sempre la cosa più importante per me. Da piccolo ho iniziato a giocare nelle strade di Abidjan, la città dove sono cresciuto. Ricordo la mia famiglia non poteva permettersi delle scarpe, mio padre però vedeva quanto correvo e vedeva che ogni giorno andavo ore ad allenarmi, correndo su e giù per le polverose vie della Capitale. Così a 15 anni mi fece il regalo più bello che potessi mai desiderare: un paio di scarpette da calcio.” “Papà faceva continuamente avanti e indietro fra la mia città e Youmoussokro, un giorno decise di farmi vedere ad una squadra, il Bibo, era una piccola squadra, però organizzata e voleva fare bene. Sono stato preso subito, non ci potevo credere, ero tutto orgoglioso con la mia maglietta nera e bianca, forse era una premonizione.”
“Mi ricordo quando nel 2005 sono venuti a prendermi degli osservatori dell’Anderlecht, non potevo crederci. Tutte le mie preghiere e i miei sforzi erano stati ripagati, adesso potevo finalmente giocare in Europa. Mi ricordo quando ho preso l’aereo per la prima volta, mi sentivo come in un sogno, Bruxelles non era come la mia città, faceva freddo, nevicava e vendevano cioccolato. Mi ricordo la prima volta che ho visto la neve, avevo quasi paura, sembrava come zucchero ma era freddo, i miei compagni mi prendevano in giro ma non m’importava, ero troppo concentrato a fare del mio meglio. Non volevo che il sogno finisse.”
“Nel 2007 sono andato a giocare in Olanda, prima al Roda e poi al Twente. Ricordo l’emozione di giocare finalmente da titolare, potevo correre per tutto il campo anche 100 volte e gli altri mi guardavano, senza poter fare niente, ero velocissimo e ogni pallone era mio. È in quel periodo che sono tornato a giocare nel mio paese, per la Nazionale però. Ricordo che mi sentivo davvero orgoglioso, potevo giocare con i miei amici Didier e Yaya e onorare la mia terra che m’ha dato così tanto.”
Il Newcastle
“Prima dei Mondiali in Africa mi ricordo che pregavo moltissimo, sapevo che tante squadre mi volevano comprare, tanti buoni club, io però cercavo quello giusto per me. Non volevo cambiare tante squadre perchè per dare il massimo devo amare la mia gente. Alhamdulillah che la mia richiesta è stata esaudita. Dopo il Mondiale mi ha comprato il Newcastle, conoscevo quella squadra solo per il film Goal, però Chris Hungton mi ha convinto che era il club giusto per me. Amavo i Magpies, a loro piaceva quando correvo forte, non come all’Anderlecht, a loro piaceva proprio, mi chiamavano il Bufalo. Poi a Newcastle ho fatto tante amicizie, Papiss, Hatem, Moussa e Demba, siamo arrivati anche in Europa League in quegli anni. Mi ricordo l’emozione unica di giocare in Europa, non posso fare altro che rendere grazie a Dio per quegli anni meravigliosi.
Solo l’ultimo anno non mi è piaciuto, Benitez non voleva puntare su di me. Dei cinesi mi hanno cercato, volevano portarmi a Pechino, ho detto di si. Volevo correre in giro per il mondo, conoscere nuovi popoli e farli esultare insieme a me, volevo ancora che potessero essere felici per questo. Avrei voluto tornare al Bibo però, volevo costruire 2 grandi moschee a Youmoussokro e ad Abidjan, mi è mancato il tempo. Adesso però sono felice, qui posso correre sempre e gli avversari sono più duri, alhamdulillah, ancora una volta sono stato graziato, vi aspetto fra tanti anni, per correre ancora insieme ed esultare come bambini.”
Addio grande campione, bufalo indomabile della Savana.