La janara questa volta ha fatto la magia, è scesa sul Vigorito è ha propiziato il gol di Puscas regalando la serie A ai giallorossi di Baroni. Un’altra notte che a Benevento non scorderanno facilmente.

A Benevento è calata un’altra notte.
Le serrande dei negozi si sono abbassate nel fragore di mille lamiere, il sole ha già cambiato gioco da un punto all’altro dell’orizzonte prendendo il suo posto in panchina.
É la luna ad illuminare il cielo. A riflettersi sulle acque del Sabato e del Calore che attraversano la città. É la luna a guardare le bandiere giallorosse che si spiegano al vento dagli spalti dello stadio. Un’altra notte è scesa nel Sannio, terra di calcio e di streghe.
Streghe. Come quella che si staglia sui colori della squadra all’altezza del cuore. Come quelle che popolano la tradizione popolare della città.
Le leggende si sprecano quando si parla di janare, le streghe del beneventano. Notti di tempesta dove volavano nel cielo confondendosi tra le nuvole. Scagliando maledizioni e ritrovandosi sotto quel noce che germogliava «d’estate e pur d’inverno».

D’estate e di inverno il Benevento ha saputo costruire le sue fortune mostrandosi più forte anche delle avversità. No, non quelle tessute dalle janare: quelle appartengono al folklore. Le avversità che il pallone può mettere sul piatto sono decisamente più reali, le si può toccare con mano e con le lacrime che soltanto i tifosi sanno versare.
Lacrime da affogare nel liquore dopo i playoff sfuggiti contro Como e Lecce. Quando nel Sannio si era già pronti a respirare l’aria della serie B. Per la prima volta nella storia, proprio come accadde al termine della passata stagione. Primo posto in Lega Pro: gli spettri di un altro spareggio scacciati sul nascere dagli «stregoni» con le maglie giallorosse.
Stregoni. Che di magico hanno soltanto il nome. O forse no, sarebbe riduttivo. Perché quando Venuti si è involato sulla fascia per piazzare il pallone giusto a Puscas sul “Vigorito” non c’era soltanto la luna nel cielo. Qualcuno giura di avere visto volare una janara, con la sua scopa di saggina, quasi volesse spingere in porta quel pallone che poteva valere la serie A.
Qualcuno dice invece che quel Puscas, senza “k” e con origini rumene, non abbia nulla di stregonesco. Proprio come l’allenatore Baroni che non ha formule magiche nel taschino della giacca. Non ha riti propiziatori da compiere prima di sedersi in panchina: gli basta un sistema di gioco collaudato, lo schema che ti insegnano a scuola e gli innesti al posto ed al momento giusto.

Nemmeno il capitano Lucioni ha le sembianze di uno stregone. Ai tempi della Reggina c’era chi lo chiamava “zio” rivedendo in una sua foto i tratti di Beppe Bergomi. Quarantasei presenze al centro di quella difesa che guida da anni ed un ristorante aperto sotto l’Arco di Traiano, nel bel mezzo della città.
A Benevento è calata un’altra notte.
La luna è ancora lì, al suo posto. Le bandiere si nascondono in cantina pronte a sventolare tra qualche mese, per la prima volta in serie A. Di streghe in cielo non se ne vedono ancora, forse non se ne vedranno più. In campo però la magia si può toccare quando il pallone finisce in rete. Quando dalla tribuna si alzano cori e l’odore acre dei fumogeni.
Quando non serve nessuna formula magica per dipingere un’emozione e per spiccare il volo verso un altro campionato. Quello che conta davvero.