Guai a chi sostiene la bellezza del calcio moderno: tessera del tifoso, paytv, divieto della birra negli stadi. Insomma non sono semplici seghe ultras, ma le piaghe del calcio dei nostri giorni.

Dopo aver visto il trailer di CAN’T BUY ME LOVE, un documentario realizzato da Social Content Factory, ho provato sensazioni compulsive distruttive e bipolari. Da un lato mi sentivo finalmente in mezzo a qualcuno che potesse capire il mio vomito verso quello che chiamiamo calcio moderno. Mi sono sentito felice, complice e compreso. Volevo chiamare gli ideatori del documentario su chi sta uccidendo il calcio e dirgli “oh ragazzi se si vuole fare una ribellione, armata o meno, contate sui miei 190cm per 77 chili di peso”.
Poi è subentrato il getto a grappolo di ira e fastidio diffuso, ho pensato alla Tessera del Tifoso, a Paolo Scaroni il bresciano massacrato dai poliziotti, alle partite delle 12, alle scommesse, a Sky, al fatto che se non mi abbono a qualche cazzo di paytv non riesco a seguire il gioco delle squadre, al divieto di vendita di birre, ai tifosi che manco possono quasi più esultare e allora mi scatta dentro una sborrata malvagia e vorrei solo prendere a calci in faccia chiunque mi venga a parlare di calcio moderno e qua qua qua co co co beeh beeeh beeeh.
Gramellini, nel trailer, dice che “l’avvento del calcio televisivo ha annullato l’identificazione tra la squadra e la città” ed è per questo motivo che quando la Juventus ha vinto il, cos’era? Sesto scudetto? Sono andato a zonzo per le strade nella speranza di beccare qualche tarantino pagliaccio bianconero ebbro di gioia. Lo avrei non dico steso di legnate ma almeno una sputazza in faccia gliel’avrei rifilata. Cristo, sei di Taranto non di Mirafiori, tifa e sostieni la tua città! Impegnati nelle lotte dal basso e nello sport locale!
Ma sono seghe mentali Ultras, queste.
In realtà il documentario, ideato da Cristian Micheletti e Alessio Calabresi e girato da Andrea Stagnitto, è una bella botta di endorfine e dati sociotecnici che ambiscono a descrivere la morte del calcio, o meglio: il suo mutamento, la desquamazione che lo ha portato a diventare uno spettacolo live show come la WWE, Raw e Smackdown. Si parla di come gli stadi potrebbero presto diventare arene playground senza tifosi o forse con le sagome cartonate, i cori preregistrati come le fiction americane dove si mandano applausi e risate farlocchi ad ogni scoreggia detta dal protagonista. Paolo Pulici ti fa emozionare quando dice che correva verso la Curva Maratona dei torinesi per dirgli “cazzo questo gol è vostro, non mio!”. Ecco rappresentato iconicamente cos’è il calcio, gente. Il calcio senza tifosi perde la propria anima ed è questo che sta diventando: un bellissimo giocattolo che però non ti appassiona, luccicante ma vuoto.
Nel trailer sbocciano piccole gemme di calcio popolare e antirazzista come il Quartograd, squadra partenopea che è partita dal basso ed è diventata una realtà consolidata, a Napoli. Nevio Scala dice senza remore che il vero tifoso sta venendo sfruttato e preso per il culo.
Certo il calcio resta un’emozione. Un gol al volo, un salvataggio sulla linea, ti lascia comunque qualcosa dentro.
Ma è vero: c’è qualcuno che sta uccidendo il calcio.
Su questo interrogativo si chiude il trailer, con un Pippo Russo sfibrato e lucido che dice “l’unica soluzione possibile è che la bolla calcio scoppi”.
Io però preferisco le parole di Diego Piccinelli, Ultras Bresciano, che sempre nel trailer sbotta con un “i tifosi sono i veri proprietari della maglia”. Perché sì, è così. Senza noi che tifiamo o paghiamo per vedervi, voi non esistete. Come le proiezioni mentali di Philip Dick, più o meno. Ecco perché sosterrò sempre la causa dei genoani che ritirarono le maglie a Marassi da Sculli, Rossi e compagni.
Per fortuna non si può comprare o ricreare in provetta la passione.
Almeno quello.