Se non ci fosse stato Seedorf forse tutto questo non sarebbe stato possibile, invece Esajas ha posato pentole e bicchieri per indossare nuovamente gli scarpini e la maglia del Milan.

All’artista Andy Warhol, personaggio tra i più influenti del XX secolo, si è soliti attribuire la famosa frase «in futuro tutti saranno famosi per 15 minuti». Una frase così simbolica da essere stata incisa sulle mura del New York Museum of modern art nel 1970 e, in tempi più recenti, da finire stampata su magliette, tazze e poster dedicati al genio della Pop art.
Ne sono bastati molti di meno a Esajas, che, nel finale del ritorno di Coppa Italia tra Milan e Palermo di dodici anni fa, ha trovato i suoi tre minuti di celebrità. Fuori Ambrosini, dentro il giocatore nero scolpito da Botero. Un assist sfiorato e un splendida sgroppata sono il frutto di un percorso duro fatto di sacrifici e sofferenze, iniziato nelle giovanili dell’Ajax e culminato a San Siro.

“Quando giocava nell’Ajax, quel ragazzo aveva molto più talento di me. Diamogli una mano, aiutiamolo a tornare un calciatore!”. E’ un desiderio sincero quello espresso da Clarence Seedorf, il vecchio compagno di spogliatoio di Harvey. Nemmeno Galliani può opporvi resistenza e decide di accontentare il “Professore” tesserando anche il suo amico, un po’ come quando da bambini si decidono le squadre per giocare e chiedi al tuo capitano di prendere te insieme al tuo amico di sempre, quello con cui condividi l’intesa di gioco.

Il Milan aveva ufficialmente accolto Esajas come un figlio adottivo, lo aveva cresciuto tatticamente, lo aveva allenato, lo aveva mondato dalle sembianze dell’atleta fallito, obeso, zoppicante a causa di un incidente sul lavoro. Il Milan gli restituì la sua vecchia identità, quella barattata per un posto in cucina quando la sua carriera da giocatore si sbriciolò miseramente. Furono undici lunghi mesi di clausura fatti di allenamenti e dieta fino a quando l’ago della bilancia non scese fino a ottantacinque chili, momento in cui Carletto Ancelotti decise che il ragazzo era pronto per scendere in campo.

Tre minuti non sono niente, non sono nemmeno il tempo di un caffè, figuriamoci cosa possono essere in confronto a una stagione intera. Ma a Esajas andava già troppo bene così, tre minuti lo hanno reso felice a tal punto da sollevare Seedorf come fosse la Champions League. Lo hanno reso felice fino alle lacrime, proprio in quella notte di San Siro, mentre negli spogliatoi esordiva  con la celebre frase: “Volevo dimostrare a tutti di non essere qui per caso, di meritarmi questa maglia. E adesso? Mica mi fermo qui…”.
Parole che sanno di vendetta nei confronti di chi non ha mai creduto in lui, come quella Fiorentina e quel Torino che lo bocciarono ai provini perché era un giocatore sovrappeso senza speranze, e che, di fronte al suo curriculum mica male, voltarono lo sguardo. Di coppa in coppa, da quella nazionale fino alla Champions League che però osservò dalla tribuna nella stregata notte di Istambul.
Il cibo però è una droga per il giocatore olandese che ricasca nel mondo delle taglie forti, si richiudono le porte di Milanello e si riaccendono i fornelli in quella cucina che tutt’oggi è il suo regno, senza scordarsi mai di quei tre minuti immortalati in quella cornice appesa nella sua cucina vicino alla foto dell’amico di sempre Seedorf.