“Il nostro campo è tutto quello che abbiamo, tutto quello di cui disponiamo, tutto quello che ci rimane. Lo occupiamo, lo abitiamo, lo fortifichiamo, lo presidiamo. Lo esploriamo, lo sfruttiamo, lo disegniamo, ci voliamo, ci avventuriamo”.
Ivan Zaytsev ha ragione. Il campo è la nostra casa, la nostra fortezza, la nostra officina.
Per chi come me è totalmente ignorante in materia di pallavolo, potrebbe diventarne un appassionato dopo aver letto la biografia di Ivan detto lo Zar. Nato nel 1988 a Spoleto da genitori russi, ha iniziato a giocare a pallavolo a 7 anni e chissà quando mai si fermerà (anche se lui afferma che succederà a 40 anni, come fu per suo padre). Tramite la penna di Marco Pastonesi, giornalista sportivo, Zaytsev parla di sè e di come è diventato, appunto, lo Zar fra pallavolo e beach volley, amore e guerre.
Un gol ogni dieci secondi
Ma cosa c’entra il calcio con la pallavolo? Tutto e probabilmente niente. La pallavolo è unica perché, a differenza del calcio, qui di gol ce n’è uno, in media, ogni dieci secondi, a volte anche un autogol – la battuta che finisce in rete – dopo neanche mezzo secondo.
Come molti sportivi, l’infanzia di Ivan è dura, regolata soprattutto da un padre padrone, campione di pallavolo che non da molta libertà di scelta al figlio. Sono Ivan, ma mi ricordano che il mio primo ruolo è quello di figlio di Slava, il secondo quello di palleggiatore. Guarda un po’: proprio come mio padre. Ma senza averne le caratteristiche, le doti, le qualità, soprattutto senza averne la testa. Ripensando a quei tempi cresce in lui il sentimento di solitudine e tristezza: se guardo quelle foto, mi trovo triste, serio, depresso, immobile, costretto, obbligato, che quasi vorrei ammazzarmi da me.
L’occhio mi cade quando Ivan parla del suo primo campionato in serie A1. E’ il 2005 e il suo primo stipendio da professionista si aggira sui 1.500 euro. E penso allo sport che fa battere il mio cuore e sono sicura di non aver mai sentito un calciatore di serie A prendere quella cifra. Nemmeno 12 anni fa. Ma per lui le cose cambiano nel giro di un anno: un trasferimento di 500mila euro e lo stipendio che si alza fino a 4mila. Ma come succede anche ai calciatori, Ivan fa il passo più lungo della gamba. Si compra un rolex, comincia a fare la bella vita. Parto a razzo. Ma, come spesso succede, finisco a cazzo. Voglio fare lo plendido, il fenomeno, per fare il fenomeno ho soldi da buttare, e li butto. Caro Ivan, bisogna perdersi per poi ritrovarsi.
Ma chi è cosa su un campo da pallavolo?
Lo schiacciatore è il terzino che attacca e l’ala tornante, il difensore di fascia e l’attaccante esterno, uno che attacca la banda senza necessariamente essere un bandito. Potente, resistente, veloce. L’opposto è l’attaccante da area di rigore, il Paolo Rossi sotto porta, il Pippo Inzaghi della situazione. Il libero è una via di mezzo fra il difensore centrale e il portiere. È quel poveraccio che si prende un sacco di pallonate. Il centrale è – grazie al cielo la pallavolo non è come il calcio – niente che possa essere paragonato a un altro sport. Non è un mediano e non è un gregario. È un grillo, una cavalletta, un canguro. È una razza a sé.
Ivan sottolinea l’ennesima differenza: In Italia il calcio è metropolitano: due squadre a Milano, Roma, Torino, perfino a Genova e a Verona. E invece la pallavolo è provinciale. Un confine, un limite, ma che può diventare anche una forza. Ci sono realtà più piccole, ma proprio per questo più compatte, più forti, più radicate, realtà dove gli altri sport non sono repressi, soffocati, strangolati dal calcio. E soprattutto dice una grande verità che fa arrabbiare persino me, che di pallavolo credo di non aver mai visto nemmeno mezza partita. In Italia la pallavolo è ricordata solo quando si portano a casa medaglie olimpiche e titoli mondiali. Così non vale. Non si fa abbastanza per promuoverla, per diffonderla, per farla conoscere, e non lo fa neanche la Federazione, e questo mi manda in bestia.
Lo Zar e la Zarina
Ma Zaytsev, come molti uomini, non sarebbe quello che è senza una donna al suo fianco ed è così che ci racconta del suo triangolo amoroso e del folle innamoramento per quella ragazza bionda e filiforme metà romana e metà irlandese che decide di sposare nel maggio del 2013 (contro qualsiasi previsione amica). Innamorati. Ricezione, alzata, schiacciata. E il 31 ottobre dell’anno successivo nasce Sasha, esattamente lo stesso giorno di Marco van Basten.
Come tutti i veri sportivi lo Zar è contrario alle droghe a qualsiasi tipo di anabolizzante. Io non mi sono mai dopato. Mai dopato in vita mia. Doping free. Il doping mi fa schifo. È imbroglio, menzogna, trucco. E per uno sportivo è un fallimento. È scorciatoia chimica. Ma in Russia è tutto diverso perchè lo sport ti da i soldi e i soldi ti danno l’alcol, la coca, le donne e le partite di poker.
Che sia pallavolo, calcio, rugby o ping pong, Ivan ci ricorda le sei cose per cui lo sport è bello: il gioco, la leggerezza, la compagnia, la sfida, l’incertezza, la vittoria.