La storia del calcio è piena di difensori dai modi duri e spesso antisportivi, tanto da meritarsi l’appellativo di “cattivi”. Da noi, dagli anni Ottanta in poi, il rappresentante più noto di questa categoria è stato Pasquale Bruno, soprannominato “O’ Animale”.

Quando si parla di giocatori più violenti della storia non bisogna poi dimenticare il basco ex nazionale spagnolo Andoni Goikoetxea, definito “il macellaio di Bilbao”. Il loro erede più recente è stato senza dubbio anche uno dei più forti difensori della sua generazione: Képler Laveran Lima Ferreira, meglio noto come Pepe, brasiliano di nascita, portoghese di passaporto, madridista d’adozione.

La camesite blanca

Gli ultimi dieci anni di carriera, infatti, Pepe li ha passati con indosso l’iconica camiseta blanca del Real Madrid, il club di calcio più prestigioso al mondo, con il quale ha conquistato tre campionati spagnoli, due Coppe di Spagna e soprattutto tre Champions League e due Coppe del Mondo per Club (oltre a svariate Supercoppe, spagnole ed europee). In tutto, con la maglia del Real ha collezionato 334 caps, classificandosi al sesto posto tra gli stranieri con più presenze. Non male, per uno che sembrava essere stato eccessivamente sopravvalutato – con i 30 milioni di euro spesi – quando nel 2007 il Real lo prelevò dal Porto.
A 34 anni compiuti a febbraio, dopo la finale di Champions League giocata a Cardiff e vinta dal suo Real contro la Juventus – ma da lui osservata dalla tribuna – Pepe ha annunciato di voler cambiare aria e cercare un ultimo contratto di prestigio. Il Real gli ha proposto un solo anno di rinnovo, mentre lui ne avrebbe voluti due, così le offerte hanno iniziato ad arrivare da tutta Europa, con il Paris Saint-Germain favorito rispetto al Milan e ai team inglesi.

Capitano senza fascia

Qual è il ricordo che Pepe lascerà a Madrid? Quello di un giocatore determinato e dalla grande forza fisica, implacabile di testa e molto apprezzato dai suoi allenatori (non tutti) soprattutto per la sua capacità di imporsi in campo come un vero e proprio capitano senza fascia. Ma anche quello di una testa calda molto spesso incapace di controllare le proprie intemperanze. In sintesi, Pepe si è sempre caratterizzato come un difensore particolarmente istintivo, a volte troppo.
A Barcellona per esempio ricordano ancora quando, nel corso di una partita valida per la Coppa del Re, nel gennaio 2012, calpestò una mano a Lionel Messi, finito a terra dopo un suo fallo. “È stato un episodio involontario”, avrebbe poi detto il giocatore tramite il sito ufficiale del Real per giustificarsi. “Se Messi si è sentito offeso, non posso che fargli le mie scuse. È un collega, e non penserei mai di far male a una persona come lui. Mi scuso pubblicamente”.

L’Hannibal Lecter del real Madrid

Difficile credere alla buonafede di Pepe, visti i numerosi episodi simili di cui si è macchiato sia prima che dopo quella vicenda. Nemmeno il suo allenatore di allora, José Mourinho, sembrò fidarsi ciecamente, quando dichiarò che “se l’ha fatto apposta è un atto censurabile”. E non ci sono cascati neppure i tribunali spagnoli, se è vero che sole poche settimane fa un’emittente televisiva è stata scagionata da un’accusa di diffamazione nei suoi confronti. Nel corso di un servizio sui tanti falli subiti da Messi da parte dei giocatori del Real, la catalana TV3 aveva paragonato Pepe addirittura a Hannibal Lecter. Del resto, nei primi anni al Real, erano gli stessi tifosi madridisti a incitarlo con il coro “Pepe, mátalo!.
Quella tra Pepe e Messi è una faida proseguita nel corso degli anni e diventata emblematica dell’accesa rivalità tra le due squadre più titolate di Spagna. Nel 2014, i due furono protagonisti di un battibecco in campo, ricostruito poi dal quotidiano catalano Sport, secondo il quale il difensore avrebbe intimato l’attaccante dicendogli “Con me te la fai sempre sotto”, per sentirsi rispondere “Ma che dici? Compari in tutte le foto dei miei gol al Real”.
Il punto più basso della carriera, in ogni caso, Pepe l’ha toccato nel 2009, durante una partita di campionato con il Getafe, quando, dopo un cartellino rosso guadagnato a pochi minuti dalla fine per un fallo da ultimo uomo su Javier Casquero, gli si chiuse improvvisamente la vena. Dapprima colpì l’avversario – ancora steso a terra – alla schiena e alle gambe con dei calci, lasciandogli i segni dei tacchetti nei fianchi e nei polpacci. Non pago, poi tirò un pugno a un altro avversario (Juan Ángel Albín) e ricoprì di insulti l’arbitro. Le giornate di squalifica furono dieci, fra le quali le ultime sei di quel campionato, nelle quali il Real ottenne ben cinque sconfitte, lasciando il titolo al Barcellona.

“Il giorno peggiore della mia vita”

Per Pepe il rammarico fu tale da considerare l’idea di un prematuro ritiro dall’attività agonistica: “Sono nel mondo del calcio da molti anni, e questo è il peggior giorno della mia vita, come giocatore e come persona”, raccontò a Marca, prima di scusarsi con Casquero, il Getafe e tutto il mondo del calcio.
L’ultima espulsione con la maglia del Real risale al 2011, ma Pepe ha continuato con i suoi momenti di follia anche negli anni successivi, sfuggendo spesso allo sguardo degli arbitri. Nel dicembre del 2012, per esempio, centrò in modo volontario con un colpo di tacco un avversario del Celta Vigo nelle “parti basse”. Anche i suoi compagni di squadra hanno avuto modo di assaggiare i suoi modi rudi, durante le sessioni di allenamento o in partita (come quando, nell’aprile 2012, durante un Real Madrid-Valencia, dopo aver simulato un fallo, scalciò da terra Alvaro Arbeloa, “reo” di volerlo aiutare a rialzarsi in fretta).
Le intemperanze le ha spesso trasferite anche in nazionale (con la quale ha vinto il Campionato Europeo del 2016, giocando da titolare tutte le partite tranne la semifinale). Il caso più noto risale al Campionato Mondiale del 2014 in Brasile, quando, nel corso del match tra Portogallo e Germania, fu espulso per aver tirato una testata a Thomas Muller. In totale, in carriera, Pepe ha collezionato 8 espulsioni, la metà delle quali per rosso diretto: un palmares che parla da solo.

“Grazie a Dio ho incontrato Ancelotti”

Nonostante questo, i numeri parlano di un giocatore per molti anni insostituibile, con la migliore stagione personale giocata nel 2013-2014 – quella della “Decima” –, caratterizzata da 48 presenze e 5 gol. In panchina c’era Carlo Ancellotti, che aveva rilanciato il giocatore dopo il contestato accantonamento a opera di Mourinho. Nella sua ultima stagione al Real, l’allenatore portoghese gli aveva spesso preferito l’allora diciannovenne francese Raphaël Varane, appena arrivato dal Lens, spingendo Pepe a considerare un addio alla maglia del Real.
Fu proprio Ancellotti a convincerlo a restare, rimettendolo al centro del progetto con parole molto chiare: “Con lui siamo più sicuri. Ci dà sicurezza, personalità e aiuta gli altri giocatori: è molto importante per loro”. Le lodi furono presto ricambiate dal difensore alla radio spagnola Cadena Cope (“Grazie a Dio ho avuto un allenatore come Carlo, che mi ha aiutato molto a crescere”), anche come facile pretesto per attaccare il suo precedente tecnico: “Quando andiamo a giocare sui campi delle altre squadre, in Spagna, sentiamo che i tifosi non ci odiano come facevano quando c’era Mourinho”.

Il “tradimento”

Neanche con l’ultimo allenatore, Zinedine Zidane, il rapporto è stato idilliaco, nonostante le due Champions League vinte. Anzi, il lento logorio causato dalle tante panchine lo ha definitivamente convinto a dare l’addio al Real, soprattutto dopo aver ricevuto dalla società una proposta di rinnovo contrattuale ritenuta inaccettabile. Nel giorno dei saluti e dei ringraziamenti ai tifosi, le parole riservate da Pepe al tecnico francese sono state molto franche: “Quello che ha fatto col Real è spettacolare, però ci sono alcune cose che non capisco, come il motivo per cui non ho più giocato con la squadra. Questo sì, non lo capisco”.
Dopo aver dato “sangue e sudore” per la squadra, Pepe si è sentito tradito. Ed è probabilmente con lo spirito di rivalsa di un difensore che non si ritiene per nulla finito che affronterà la prossima esperienza, ovunque essa sia. Scendendo in campo, come sempre, con l’agonismo e il carisma di un capitano senza fascia.