“Tutto è perduto, fuorchè l’onore!”, questa è la frase che Andrej Starostin era solito citare prima delle partite della sua squadra e che di sicuro descrive al meglio la storia di quella formazione che per il popolo russo ha sempre rappresentato tutto: lo Spartak Mosca.
Quella dello Spartak è una storia dura, di sofferenza, dittatura e voglia di vincere. Tutto comincia nel quartiere Presnja, ora centralissimo a Mosca, dove Ivan Artem’ev, uno dei maggiori esponenti del calcio moscovita, decise di creare nel 1922 la prima squadra calcistica a base operaia, sostenuta cioè da un sindacato di lavoratori e non da forze militari come succedeva invece per le altre società.
Operai che si dedicavano al calcio
Tra i giocatori di spicco quelli che più di tutti hanno rappresentato lo spirito di questo team sono stati sicuramente i fratelli Starostin: Nikolaj, Aleksandr, Andrej e Pёtr, la cui vita è stata fino alla fine legata al destino del loro club. A quei tempi i calciatori in Russia non si potevano considerare veri professionisti, erano semplicemente operai che finito l’orario di lavoro si dedicavano a questa passione nella quale però mettevano veramente l’anima, tanto dal lavorare in prima persona per riqualificare un campo sfruttato dalla malavita e trasformarlo in uno stadio, con tanto di panchine, tribune e spogliatoi.
L’allora Promkooperacija, fu quindi la prima squadra libera dalle costrizioni imposte dalle forze armate e proponendosi come squadra del popolo necessitava di un nome che potesse trascinare le folle, un nome nel quale il popolo si potesse rivedere e che mostrasse al meglio lo spirito della squadra. Ci sono varie leggende su come questo venne scelto ma fu sicuramente Nikolaj Starostin, il maggiore dei fratelli, a decidere che “Spartak” era la scelta giusta.
La versione più romantica vuole che durante una nottata insonne insieme ai fratelli e ai compagni di squadra, dopo aver scartato moltissime ipotesi, il suo sguardo si posò sul romanzo “Spartaco” di Raffaello Giovagnoli e da lì ebbe l’illuminazione: il capo dei gladiatori romani, un eroe del popolo, un ribelle fedele ad un ideale disposto a dare tutto sé stesso per la causa. Era un segno, era il loro riferimento. E fu così che nacque lo Spartak Mosca.
La partita sul selciato della Piazza Rossa
Fin da subito questa squadra acquisì un grande seguito e nel 1936 ottenne il primo vero riconoscimento: Aleksandr Kosarev, segretario del Komsomol, il sindacato operaio che controllava la squadra, era anche l’organizzatore della “Giornata della cultura fisica” durante la quale decise di introdurre una partita di calcio al fine di mostrare a tutti come il football fosse ormai una realtà molto amata in Russia.
I problemi nella realizzazione del progetto erano molti e tra questi prima di tutti c’era quello di gestire il rettangolo di gioco in quanto il match tra la prima e la seconda squadra dello Spartak si sarebbe giocato sul selciato della Piazza Rossa, col rischio che qualche giocatore si facesse male e dimostrasse così la sua debolezza, cosa totalmente inammissibile dato che a guardare l’incontro ci sarebbero stati i maggiori capi del partito e, soprattutto, Stalin in persona.
Nikolaj Starostin ideò quindi uno stratagemma: cucire insieme 10000 metri quadrati di feltro durante la notte, in modo da non intralciare la quotidianità della cittadina ma consentendo ai giocatori un minimo di protezione in più. Nonostante le obiezioni e i tentativi di sabotaggio da parte dell’NKVD, il servizio di sicurezza del Commissariato degli Interni, la partita si giocò e tutto procedette al meglio, tanto da farla continuare più del previsto perché il Capo Supremo stava mostrando un inaspettato, vivissimo interesse.
La rivalità con la Dinamo Mosca
Alla Dinamo Mosca, grande rivale dello Spartak, questa situazione non piaceva affatto. Loro, fedelissima squadra moscovita, si erano già imposti sul panorama nazionale da molti anni ma non avevano mai ottenuto l’onore di un riconoscimento da parte di Stalin e non potevano concedere che dei semplici lavoratori sfidassero la loro supremazia. Non è un caso, tra l’altro, che i proprietari della Dinamo fossero proprio i capi dell’NKVD.
Un conto però era vincere con le squadre russe, un altro battere le straniere. Contro le formazioni europee bisognava trionfare non solo per sé stessi e i tifosi ma per l’onore dell’intero paese. Una disfatta avrebbe infatti minato la rispettabilità e l’indistruttibilità dell’URSS e ciò non era ammesso. Nel luglio 1937 la formazione dei Paesi Baschi, idealmente vicina ai propositi comunisti ma molto più forte sul lato calcistico, organizzò una tournée in Russia e riuscì a battere ogni avversario salvo poi venire umiliata con un 6-3 proprio dallo Spartak.
Questa vittoria fu quindi un altro grande onore, un segno di forza che la sconfitta Dinamo Mosca non poteva tollerare e con lei Lavrentij Berija, il nuovo capo dell’NKVD. Questi provava un forte rancore verso lo Spartak e soprattutto verso i fratelli Starostin, specialmente Nikolaj, contro il quale aveva giocato anni prima e dal quale era stato umiliato grazie alla straordinaria velocità nel gioco dell’avversario.
Dal calcio ai gulag
Ormai non si trattava più di una competizione calcistica, il rancore tra le due società era diventato molto più profondo ma chi possedeva davvero il potere era Berija e la famiglia Starostin ne era ben consapevole. Nel 1939, quando ormai gli arresti erano all’ordine del giorno, i quattro fratelli vennero infatti accusati di tradimento nei confronti della Nazione. Questa ripicca costò a loro e a molti altri personaggi importanti dello Spartak Mosca ben 12 anni di detenzione nei gulag, durante i quali Nikolaj fu trasferito innumerevoli volte e tutto per i suoi meriti sportivi: tutti i capi delle prigioni, infatti, lo volevano al loro servizio per allenare la squadra di cui erano responsabili.
L’amore che era riuscito insieme ai fratelli a diffondere nel popolo non aveva confini, la politica e la repressione non erano riuscite a distruggere l’immagine di gladiatori che avevano ormai disseminato in tutta la Russia. Nessuno ne era immune, neanche Vasilij Stalin, figlio del capo supremo dell’Urss che si impose per riportare il suo amato campione a Mosca, nonostante per legge gli fosse stato vietato. Iniziò così un braccio di ferro tra il primogenito di Stalin e Berija che si concluse solo nel 1953 quando Kruscev salì al potere, arrestò il capo dell’NKVD e finalmente i fratelli Starostin furono liberi di tornare alle loro vite e, più di tutto, al loro Spartak.
La squadra seguì le vicende dei suoi beniamini e infatti dopo anni di sofferenza tornò nuovamente alla vittoria. I decenni successivi furono costellati da alti e bassi ma il tifo sfegatato di milioni di tifosi non venne mai meno. Nel 1996 Nikolaj morì e lo Spartak regalò alla sua memoria ben 6 scudetti consecutivi salvo poi cadere in una fase di depressione, tanto che dal 2002 al 2016 riuscì a vincere solo una coppa di Russia.
Massimo Carrera zar di Russia
Nell’ultima stagione però, qualcosa è cambiato. Il 2017 ha incoronato nuovamente, dopo 16 anni, lo Spartak Mosca come campione di Russia. Il merito è di un nome ben conosciuto nel panorama italiano: Massimo Carrera. L’ex vice di Conte era arrivato in Russia come aiutante di Dmitry Alenichev il quale però non si è dimostrato all’altezza delle aspettative e dopo sole poche settimane ha lasciato il posto, soprattutto per rinuncia di Kurban Brdiyev, proprio all’italiano, il quale è riuscito in un’impresa che molti altri prima di lui hanno fallito.
Accumulando punti su punti e sconfiggendo le maggiori avversarie si è infatti qualificato come vincitore dello scudetto con tre giornate d’anticipo. È stato un secolo difficile per lo Spartak Mosca, nato dai bassifondi è riuscito a farsi amare più di ogni altra squadra, ha combattuto lo strapotere politico dei dittatori e ha dimostrato ancora una volta come il calcio non sia un semplice sport ma un insieme di storie che danno al popolo un modello a cui riferirsi, fatto di passione, coraggio e voglia di non arrendersi mai. Tutto è perduto, fuorchè l’onore.