Undici luglio 1982. La Nazionale di Bearzot scrive una pagina di storia del calcio italiano che diventa subito mito. Per quelli nati tra la fine degli anni ‘60 e ‘70 quella sera di luglio segna uno spartiacque come sarà nel 2006 la vittoria a Berlino per i Millenials.

Undici luglio 2017. Il consiglio di lettura di oggi non può che essere Spagna ‘82. Storia e mito d’un mondiale di calcio (Carocci editore), scritto da Alberto Guasco, docente di Storia contemporanea presso la Link Campus University di Roma.

Il volume analizza quel Mondiale da diversi punti di vista per elevare il torneo a specchio attraverso cui leggere una fetta della nostra storia dei primi anni ‘80. Così Guasco indaga il Mondial giocato ripercorrendo le partite della Nazionale, quello raccontato dai media (dallo stile BBC di Martellini all’avvio del più grande boom editoriale degli anni ‘80), quello nazionalizzato e politicizzato (nell’immaginario di tutti quel Mondiale è legato al presidente Pertini), quello economico e quello mitizzato (l’urlo di Tardelli, la partita a carte in aereo).
Come è nata l’idea del libro?
“Spagna ‘82 è nato dall’incrocio di tre elementi. Primo, un ricordo personale: il mundial è il primo evento pubblico – non è un caso che si tratti d’un evento sportivo – di cui ho memoria. Al dato autobiografico se n’è aggiunto un secondo: si tratta d’un mondiale che nei 35 anni successivi è più volte riemerso, a diversi livelli, nel discorso pubblico e privato del paese, dimostrando d’essere penetrato profondamente nella sua memoria collettiva. In terzo luogo, essendo anche stato un grande evento mediatico – un media event, per citare due sociologi della comunicazione come Dayan e Katz – si tratta d’un evento in grado di restituire diversi aspetti del quadro italiano e internazionale dei primi anni Ottanta”.

Quale aspetto meno conosciuto di Spagna ’82 hai potuto indagare?
“Diversi, rispetto ai soliti attraverso i quali quel mondiale viene raccontato, ovvero il lato sportivo e l’auto-narrazione dei media, specie dei giornali. Ad esempio, i riflessi della politica internazionale sul campo: è il caso dell’uso politico del mundial da parte della dittatura argentina ai tempi della guerra delle Falklands, o della partita Polonia-Urss, che diventa trasposizione dello scontro Solidarnosc-Mosca. Per non parlare del Libano in guerra: qui, alle 17 e alle 21 – quando in Spagna si gioca – scatta una tregua non dichiarata tra israeliani e palestinesi. Poi il lato economico: l’82 è la porta d’ingresso nel calcio moderno verso le pratiche della sponsorizzazione sportiva e della mediatizzazione degli eventi sportivi. È l’invenzione della Fifa di Havelange in collaborazione con Adidas e Coca Cola. E infine i canali de mito, specie quelli meno conosciuti: canzone, cinema e letteratura”.

Il mondiale come lettura d’un Paese che esce dagli anni di piombo ed entra nell’edonismo. Quali erano i punti di contatto?
“Sì, quel mondiale è stato anche visto così. Da un lato questa lettura è fondata. Le piazze politicizzate degli anni Settanta sembrano essersi trasformate in qualcosa di diverso. Gli italiani si prendono una vacanza estiva – una vacanza di tredici giorni – dai loro problemi, siano l’inflazione o la guerra di mafia e le trame oscure. Dall’altra parte “l’Italia che vince”, o per meglio dire il made in Italy che si afferma, è un’autorappresentazione proposta soprattutto dal partito socialista, che come tutti i partiti piega l’evento del giugno-luglio 1982 alla propria visione del mondo. Sta per giungere l’ora di Craxi, presidente del Consiglio dal 1983, e della Milano da bere”.

Cosa rimane di quel mondiale specie per i ragazzi nati dopo il 1982?
“Come ho tentato di dire attraverso il titolo del mio volume, rimane soprattutto il “mito”. I ragazzi nati dopo il 1982 non ne hanno memoria se non attraverso chi li ha preceduti e non potrebbe essere che così. Ma per chi ha vissuto il mondiale il “mito” – come sempre intrecciato ai ricordi personali – sembra inscalfibile. Scolpito nella memoria attraverso alcune icone mediatiche – l’urlo di Tardelli, Pertini in trionfo al Bernabeu e via dicendo – e tendenzialmente non riconducibile dentro la “storia”. Storia e mito, per l’appunto”.