…e scende malinconica la sera. Storie di chi poteva arrivare in alto e non ce l’ha fatta.

Il calcio è fatto di episodi e la vita idem. Il fato in tutto ciò recita un ruolo di primo attore nel bene e nel male. Come ad esempio nella famiglia Pazzini dove il predestinato , il trascinatore delle curve, insomma il goleador da copertina doveva essere Patrizio, il primogenito, nato come cantava il capitolino Venditti, sotto il segno dei pesci nel 1967, ben 17 anni prima di Giampaolo, l’ultimo ed ovviamente più famoso dei tre fratelli (il mezzano è Federico) .
E’ l’occhio esperto e navigato di papà Romano a capire dai primi calci ad un pallone del “cinque” (la misura regolamentare) , tirati senza il minimo sforzo da quel bambino di tre anni sul sabbione del campo Loik, fra il torrente Candalla ed il West (inteso come Serravalle) che Patrizio è nato per ammaestrare la sfera di cuoio.
“Eppure qui ci viene un calciatore” confida compiaciuto ad amici e compagni di squadra l’ex centravanti della Pistoiese ,tornata in C nel 1959 grazie alle sue 27 reti . Così il piccolo Patrizio cresce accanto al monumento di Giuseppe Giusti ed alla figura di Bruno Barni, maestro di calcio e di vita, scomparso di recente.
Con la maglietta amaranto numero 11 del Monsummano appiccicata è immarcabile per i piccoli coetanei. Vede la porta e fiuta il gol come lo squalo avverte l’odore del sangue a distanza. E’ devastante nel gioco aereo e soprattutto protegge bene la palla , arcuando la schiena e piegando leggermente le ginocchia. E’ lo stesso movimento istintivo del padre in campo, ereditato per via cromosomica, senza alcun bisogno di insegnamento.

Due animali da area di rigore. La prima vera grande opportunità arriva dopo tutta la trafila nel settore giovanile con il bomber dal ciuffo ribelle che a 17 anni approda alla Primavera del Pisa, sotto le abili mani di Rosario Rampanti, ex centrocampista di Napoli, Torino e Bologna. Ma deve farsi le ossa ed allora quale migliore palestra della serie D, limbo o inferno al confine coi professionisti? L’anno seguente a Cerretto Guidi va a bersaglio 19 volte. Stessa musica alla Colligiana la stagione successiva con un bottino di 18 centri.
L’ambiziosa Pistoiese che vuole tornare nei professionisti per gli intriganti corsi e ricorsi storici che solo il calcio può proporre come 40 anni addietro, punta di nuovo sulla premiata ditta familiare Pazzini, specializzata nello sfondare le reti. L’allenatore è il promettente Giampiero Ventura, “ a tutti gli effetti , un secondo papà” sostiene tutt’ora Patrizio , fine istruttore che ne esaltà le abilità predatorie nei cruciali 16 metri finali . Il devastante centravanti valdinievolino vorrebbe far gol anche sotto la doccia e non esita a rubare pure l’ultimo tocco decisivo ai compagni pur di andare a referto , fra le arrabbiature di D’Este e Cavestro e le risate compiaciute di capitan Bellini.
E’ stagione della consacrazione. I gol arrivano a grappoli: 21 in campionato e 6 in coppa. Mario Frustalupi , “deus ex machina” degli orange , convince la Lazio che questo ragazzone guascone ed impertinente, dalla lingua lunga ma dal cuore grande può essere l’affare d’oro, l’atleta che ha fatto la gavetta , che ha fame , su cui provare a scommettere. Del club capitolino, prima dell’approdo a Pistoia, Frustalupi è (e rimarrà) un istituzione.
La dirigenza si fida delle sue dritte ma non compra certo a scatola chiusa. Il bomber degli arancione viene visionato più volte dagli osservatori della Lazio e quindi in prima persona dal ds Regalia e da Bob Lovati. Convince tutti. Prima della fine del campionato viene stipulato una sorta di pre contratto. La formula è quella del prestito per un anno al Brescia in B e conseguente ritorno a Roma la stagione successiva.

E’ fatta? Neanche per sogno. A cambiare le carte in tavola è quel maledetto incidente stradale in cui nell’aprile del 1990 , vicino a San Salvatore Monferrato, Mario Frustalupi muore mentre sta raggiungendo la famiglia in vacanza a Cervinia. Pazzini perde il suo mentore ed il calcio un grande uomo. La Lazio è titubante ed alla fine fa n passo indietro. Ai professionisti il puntero della Pistoiese ci arriva ugualmente ma il Poggibonsi in C2, col dovuto rispetto, non è certo la Lazio. Fa comunque bene salendo in doppia cifra nella casella dei gol all’ attivo. Però il treno da prendere a tutti i costi è passato.
L’esperienza successiva è a Siracusa. La piazza è esigente e la squadra altrettanto mediocre. Di gol ne marca appena quattro gol. Uno di questi, in ogni caso, resterà nella storia del club siciliano perché vale il pari in casa del Catania. Clamoroso al Cibali. Quel giorno a marcarlo stretto è quel marcantonio di Andrea Salvadori detto “Molla” , componente della leggendaria formazione che portò l’Empoli in seria A per la prima volta, montecatinese di adozione. Un derby nel derby visto l’atavica rivalità, raffreddata poi col tempo e dagli eventi sportivi negativi, delle due cittadine termali. E’ l’inizio della fatale parabola discendente, aggravata dall’infortunio al tendine rotuleo. Si riavvicina verso casa ed in Valdinievole vive una seconda parte di carriera ad alto livello nei dilettanti perché l’istinto killer è tutt’altro che sopito.
Fa le fortune di Larcianese e Montecatini e soprattutto grazie ai due presidenti dei termali Papini e Zinanni prende il patentino di allenatore: al sabato guida la formazione juniores e la domenica gioca e segna. In fondo è comunque un predestinato perché il buon Patrizio capisce di essere bravo ad insegnare ai ragazzi. L’onorata carriera pedatoria la chiude nella sua Monsummano, guadagnandosi l’appellativo di Re Leone per quella criniera leggermente imbiancata ma sempre folta. Toglie la maglia con l’adorato numero 11 ed Intanto continua ad allenare, a formare giovani ed a vincere campionati. Usa metodi anti-convenzionali, è guascone e scenografico. Di fatto l’esatto contrario di Giampaolo, riservato e misurato. Il pregio maggiore sta nella sua bravura nel costruire e rendere coeso il gruppo, anche fuori dal rettangolo di gioco.
Quanto fatto col Montecatini nel campionato juniores Nazionale terminato pochi giorni fa dai suoi ragazzi ha del miracoloso. Dall’ultimo posto i baby biancocelesti sono piano piano risaliti fino ai playoff. E papà Romano è sempre in tribuna che lo scruta, annuendo o scuotendo la testa a seconda dell’andamento dell’azione. Ed in cuor suo probabilmente si tiene la convinzione che il predestinato potesse essere Patrizio e non Giampaolo.
Parole di Roberto Grazzini
Illustrazione in evidenza di Davide Bonazzi