A febbraio 2016 due ragazzi di Taranto si giocano una fiche: spendere 300 euro e comprare un biglietto per una partita a caso del maggio seguente, Manchester United-Leicester. Che si è rivelata un pezzo di storia del calcio moderno. Ed è diventata un’esperienza epica.

“Vedi, kid, ora ti spiego… noi non andiamo a Salford a meno che non ci sia una buona ragione per farlo. Beh, oggi c’è. Finale playoff secca di Evo-Stik, e la squadra di Neville, Butt, Giggsy e Scholes può salire in National Conference North… capisci? L’anno prossimo poi sarebbe a un passo dal professionismo. Mica cazzi!”
Siamo su un taxi nero a sei posti. I passeggeri, nell’ordine, sono: Aidan Il Tedesco; un giornalista di Complex rivista di Ney York City, vestito casual di tutto punto; Colin Blaney ex hooligan con una stella viola tatuata sul lobo sinistro; Hotshot alto un metro e mezzo che va ubriaco da tre giorni. Poi noi due sfigati di Taranto. Due terroni che singhiozzano quando il vento delle Midlands sbatte e percuote sulle labbra che diventano raspose come una spugna d’acciaio, quella che si usa per scrostare i sughi dalle pentole.
“Yeah, se vanno su ‘st’anno, nella prossima stagione becchiamo quei traditori dell’Fc United of Manchester e gli apriamo il culo. Me ne frega poco del Salford City, ma se sale, beh, se sale c’è la trasferta a Broadhurst Park e tanto vale!” fa Aidan il tedesco. Odia i “profughi” – così li chiama – dell’FC United, la squadra di azionariato popolare che s’è staccata dalla proprietà americana del Manchester United, i Glazer. Hotshot blabbla di feckin’ scousers, gli scouse di Liverpool, ma non c’entrano niente. Delirio alcolico.
Sto seduto faccia a faccia con tre dei membri più noti nell’interregno delle firm inglesi. Aspiro ogni loro paranoia e cerco di farla mia. Colin Blaney parla che sembra si sia tirato una boccia di cocaina. Mi spiega che a Salford odiano quelli di Manchester. Perché si sentono di un’altra città, a Salford. Una cosa che inizia dall’epoca di Cromwell, quando gli abitanti delle due città-villaggi si menarono con forconi spade torce e paesanate varie sul ponte, appunto, di Cromwell.
Il taxi sgarretta in strade tutte uguali. Una cosa che in Inghilterra ti sega il senso dell’orientamento son proprio le alleys, ma pure le high street. Tutte uguali. Case su case su case, mattoncini, lampioni, Tesco, Asda, Sainsbury’s, copia e incolla forsennato. Uno che non è del posto come fa a muoversi? Mah!
Si parla di tifoserie italiane. Il tipo di Complex mi guarda le Stan Smith. Io parlo della curva nord Taranto, e loro accennano ai fatti di Sandri. Perdio, conosciuti anche nelle terre della Regina per quelle smancerie con la questura, eh?
“Only Bergamo’s and Taranto’s broke the match up!” dice il newyorkese.
 

Manchester Utd-Leicester, il racconto della partita del secolo.
Manchester Utd-Leicester, il racconto della partita del secolo.

ALT!
Ma cosa ci facciamo a Manchester? Perché siamo qua a chiacchierarcela con dei poco di buono? Bella domanda.
A Febbraio, prima di San Valentino, io e il mio compare Alessio ci giochiamo una fiche. Una fiche da trecento euro sul Leicester. Sì, tra biglietti aerei, biglietti della partita e airBnB, tanto spendiamo. Ci sta arrapando la squadra di Claudio Ranieri, ci piace la rabbia con cui Vardy scardina gli avversari, ci piace ‘sta cosa che stanno ghigliottinando un fottio di squadroni.
E allora? Mambo!
Nonostante si fosse a metà campionato e le Volpi Blu potessero incappare nella tagliola di Wénger o finire sotto tiro del cannemozze di Pellegrini, in due settimane organizziamo IL VIAGGIO A MANCHESTER. 36esima giornata, Red Devils vs Foxes. Perché quella partita? Perché c’è l’Old Trafford. Perché il volo aveva orari decenti. Perché Rooney e perché Manchester attizza. Non sapevamo se sarebbe stata la partita decisiva, poteva pure darsi che alla 36esima giornata il Leicester lo avremmo trovato a battagliare per un’Europa League comunque sorprendente. Altro che titolo. Però a dirla tutta un po’ sentivamo qualcosa. La superstizione mediterranea, che volete farci. Si sentiva che, per qualche ragione, gli sfollati del Leicester avrebbero potuto giocarsi il titolo nella tana del club più prestigioso d’Inghilterra.
A scatola chiusa, siamo partiti. E lasciamo perdere i macelli per avere i biglietti.
L’idea iniziale era di vedere la partita coi fans del Leicester. Ma nel regno unito in trasferta mica ci vanno gli occasionali. C’è da calcolare un coefficiente criptonumerico fatto di presenze nella stagione attuale in casa&trasferta, abbonamenti pregressi e forse pure tatuaggi raffiguranti il club impressi sul polpaccio. A quel punto abbiamo dovuto virare, e il cambio di rotta ci ha portato verso il porto più commerciale ma comunque epico dello United. Lì abbiamo sottoscritto una membership, necessaria per avere anche solo una possibilità minima di accedere ai biglietti per il big match, e poi abbiamo atteso che due biglietti, due biglietti, apparissero per magia.
E alla fine escono, ‘sti biglietti. Block N4408, Row 15, Seats 22-23. SIR ALEX FERGUSON STAND. Bangtidy!
Niente, un venerdì di fine aprile ci ritroviamo su un Ryanair da Orio al Serio a Manchester Airport. Partiamo consapevoli di poter vedere la storia. I ragazzi di Ranieri sono a più sette, e se vincessero… se vincessero al Teatro dei Sogni, beh, vincerebbero la premier.
Manchester è una città che sta cambiando. Non ne cogli appieno la potenzialità, sono cantieri su cantieri. Si sta mettendo su il trucco, sta rimodernando i quartieri industriali e perciò a volte ricorda un villaggio medievale con gli edifici in pietra liscia e chiara, altre volte invece pare un remake di Io Sono Leggenda. Ponti enoooormi, ciminiere buttate a caso, massicce warehouse di mattoncini (hangar modello Star Wars) convertite in studi artistici e zero presenze umane. Dal balcone della nostra camera vediamo le luci al neon rosse dello Stadio, lampeggia la scritta MANCHESTER UNITED.
Però non era mica una cosa giusta quella di girarsi la città come fanno tutti i turisti. Un giretto a Spinningfields, una maglia ufficiale dello United o del City, giro in barca sui quays, il fish and chips comprato a King Street per andare di diarrea causa olio vecchio… nah. Che schifo è? Perciò contatto un hooligan che avevo visto in un documentario su Youtube, Football’s Top Boys. Si chiama Colin Blaney e faceva parte di un sottogruppo della Red Army, gli Inter City Jibbers. Gli propongo un’intervista. Lui rilancia dicendo che possiamo andare insieme a vedere ‘sta partita di eccellenza inglese, dice che potrebbe essere una bella esperienza. La squadra del Salford City non è molto conosciuta a livello mediatico oltremanica, benché la proprietà sia composta dalla class of 92. Neville, Giggs e compagnia. Dunque si profila un doppio servizio, mi dice: mi intervisti e parli del Salford City.
Manchester Utd-Leicester, il racconto della partita del secolo.
Manchester Utd-Leicester, il racconto della partita del secolo.

Bene. Ora torniamo al taxi.
Si scende, signori.
Il campo del Salford si chiama Moor Lane, è nient’altro che un pezzo di erba verde contornato da un muretto di due metri in cemento. L’ingresso è vecchio stampo: il bigliettaio se ne sta rintanato nel bunker, vedo solo la sua mano darmi il resto assieme ad un biglietto marroncino minuscolo, da riffa, con scritto ADMISSION. Il vecchio tornello in ferro nero che gira ed eccoci che si dipana il tappeto verde ben fatto. In battuta si sentono i tamburi dei tifosi. C’è ancora chi tifa in Inghilterra? Parrebbe di sì.
Il bagno è un container rosso. Davvero. C’è un rettangolo di compensato a separare LADIES ‘N’ GENTS. “Proper grassroots” dirà spesso Colin. Le radici migliori del calcio inglese. Si respira birra e hamburger. Atmosfera da cartolina, cori spinti alla raucedine da entrambe le fazioni di supporters.
Il match di cartello è Salford City-Workington. I tifosi ospiti sono stipati in una capanna di lamiere che ha una sorta di torretta superiore dove si piazzeranno le televisioni locali.
“Stick your mic up your arse!” grideranno i tifosi del Workington nel vedere i cameramen appollaiarsi sopra le loro teste.
Entrambe le squadre hanno i colori sociali biancorossi. Mi sembra di vedere un ininterrotto Bari-Vicenza. I bambini giocano a ridosso del campo, ai piedi di una piccola gobba collinare. Si alterna grandine a pioggia a vento a sole duro. Mancano pochi minuti al fischio d’inizio e Colin ci porta a conoscere Gary Neville.
Lui, il terzino più forte d’Inghilterra per molti anni, se ne sta con gli avambracci saldati alla ringhiera che circonda il campo e beve una lager. Il suo entourage è composto da una belva larga e tozza coi capelli rasati alla Brad Pitt in Fury. Capito? Uno dei presidenti se ne sta in tribuna, così, a bersi una birra coi tifosi. Potrei anche baciarlo. A Pes, nella Master League, appena racimolavo i giusti dindini mi svenavo per acquistare in battuta Gary Neville, Paul Scholes e Ruud Van Nistelrooy. Vedermelo che mi sorride e mi chiede per conto di chi scrivo è magia pura.
La partita incomincia.
Le squadre tecnicamente sono da radiare. Giocano d’istinto, lanci lunghi e spizzate per il centravanti di turno. Classica partita all’inglese. Però il Workington ha un trequartista/prima punta che si giocherebbe a mani basse una lega pro da comprimario nella Spal, o nella Maceratese, o nel Benevento: Scott Allison, un ginger prick (diciamo un carotino rosso di capelli, va’) numero 9 che sbroglia la partita con veroniche, finte di corpo e controlli al limite della follia.
Il Salford va sotto due volte e due volte riallinea il timone.
“Kid,” fa Colin “va a finire che se si vince facciamo invasione… ma soprattutto se si vince becchiamo anche mr. Paul Scholes!”
Alessio sta venendo nelle mutande. Scholes è il suo eroe. Scholes è quell’idolo che, pur ritiratosi, quando viene chiamato da Sir Fergie ritorna in campo, perché lo United è nei casini e con i suoi gol e i suoi tocchi da barça inglese porteranno il Manchester a vincere l’ennesima Premier.
Il Workington sbaglia il gol del 3-2, un tiro sulla linea a porta vuota sbarellato in alto, e allora è da lì che capisci che la partita la chiudono i tuoi avversari, la chiudono i Leoni di Salford.
Infatti, all’86esimo, c’è un casino della madonna in area di rigore e tra un palo e una trattenuta, la rete si gonfia. Una decina di minuti dopo c’è il fischio finale e l’invasione di campo. Noi ci giriamo e ci voltiamo ed eccolo! ecco Paul Scholes, incappucciato, che sorride e abbraccia Neville e noi c’infiliamo tra la massa e becchiamo la foto con uno dei centrocampisti migliori negli ultimi 20 anni calcistici. Cioè ho abbracciato Scholes. Scholes. Capite? E c’è gente che si esalta per una foto con Maurito Icardi. Ma vaffanculo.
Manchester Utd-Leicester, il racconto della partita del secolo.
Manchester Utd-Leicester, il racconto della partita del secolo.

Il ritorno in taxi è tutto uno sbocco rabbioso di Aidan il tedesco contro l’FC United. Li odia come e peggio dei tifosi del Leeds.
“Perché chiaro no, se hai casini con la proprietà fai uno sciopero, fai macello, ma non abbandoni il tuo club e nemmeno fai la cagata di crearne uno nuovo, usandone stemma vecchio e nome che sembra quello del Manchester United. Non si fa. Che atteggiamento è? L’anno prossimo meglio che si guardano le spalle. Derby! Salford-FC United! Deerrrrrrby! Profughi del cazzo.”
Colin cerca di mediare. Gli si spiega che è una cosa diversa l’FC United, è per le famiglie, non per i lads like us. Niente. Aidan continua con la linea da carrarmato.
“Forget ‘bout him” mi fa Colin “il tedesco ci va giù pesante. Calcola che una volta ha inseguito dei tifosi del City per un miglio e mezzo con una spada al seguito. Ora non va più al derby. Troppo malesangue, si fa, a vedere quegli arabi plastificati farci il culo. Lui odia i Rangers Glasgow, il Liverpool e tutto, ma il Citeh non può proprio vederlo.”
“Sì ma l’anno prossimo con Joseph FUCKING Guardiola potrei sospendere temporaneamente la mia pensione da vero top boy!”
Io sono a Manchester. Sono stato a Manchester nei giorni della storia sportiva. Difficile realizzare la maestosità dell’impresa. Difficile crederci. Specie perché il mio percorso vitale degli ultimi tre anni è stato di una mediocrità fastidiosa. Università inutile, professori impalpabili e senza personalità, senza consistenza; colleghi bastardi; ostilità diffuse; familiari stronzi; paranoie; drammi fisici tipo tendiniti emorroidi cartilagini rotte lombalgie infezioni alle vie urinarie…
E però Manchester… il Leicester… ‘sta faccenda che ad impegnarsi, a diventare ossessivi-compulsivi verso una meta x, foss’anche un diciotto in informatica generale, si ottengono risultati cazzuti, beh, sarà pure una stronzata ma bisogna crederci. Occorre spegnere la candela e smettere di rivolgere la devozione al destino, al prof, alla caviglia che cede. Bisogna stringere gli attributi e tirare forte, così forte da correre come selvaggi.
Così hanno giocato i rudeboys in blue. Dopo dieci minuti di gambe contratte, di Valencia che sgroppava sulla fascia inventandosi cambi di direzione allucinanti, i ragazzi di Ranieri orfani di Vardy si sono svegliati e hanno sguinzagliato l’inferno interiore.
L’Old Trafford alle 14.05 è più bello di un San Siro pieno in notturna.
Davvero.
Dalla nostra casa abbiamo camminato lungo un canale e poi abbiamo preso delle stradine interne finché non siamo arrivati nei dintorni dello stadio. Grappoli di tifosi che bevono birra e contrattano scommesse. “I’ve got my honey and bees on Rashford!” dice il grasso proprietario del fish ‘n’ chips, un mastino con la sigaretta in bocca fissa. Avrà puntato centocinquanta quids sul gol del talento dell’Accademy.
Ci iniettiamo in vena sciarpe, spillette, bandiere, maglie. Per beccare il nostro ingresso è una camminata di venti minuti buona, a girare in tondo, a cercare l’ingresso N45. Controlli col metal detector, la membership che striscia nel tornello, il TA TA TLANK e via!, eccoci dentro. Un macello di gradini, tanti gradini, si suda come maiali… ma appena arrivi in cima al Sir Alex Ferguson Stand ecco qua che ti arriva la botta di pressione a mille. I giri salgono a novantanovemila e niente… lo svenimento è quasi istantaneo. Ti manca l’aria, non si respira a dovere. Dove cazzo siamo…
L’Old Trafford, capite? Siamo all’Old Trafford. La capa gira! La capa gira!
Il terreno verde a scacchi che pare finto, non esistono terreni così belli. Le vertigini… ti viene da pensare ma davvero sono qui? La Red Army si sgola e non capisco cosa cantino ma è favoloso. Io l’unico coro che so è “Oh Owen Hargreaves, you’re the love of my life, oh Owen Hargreaves, I’d let you shag my wife, oh Owen Hargreaves, I want curly hair too!”, in sostanza un tributo al cuckhold.
La luce che attraversa lo stadio pare davvero gettata giù dal cielo da qualche Dio Greco.
L’Old Trafford si stipa allo scoppio, tutti vicini vicini, le mie ginocchia grattano la vernice del seggiolino davanti. In piedi, tutti in piedi all’ingresso delle squadre. I nomi di Drinkwater, Kanté, Schlupp, Okazaki e Ulloa sono fischiati di brutto, quelli della Banda Rooney vengono osannati da OI! nemmeno troppo convinti. Si vede che è stata una stagione deludente per i Red Devils.
Che la storia abbia inizio. Rooney fa skip sul posto e Martial cazzeggia con Valencia. I ragazzi della provincia invece sono tesi come pesci all’amo, contratti.
Che dire? Ma che cazzo posso dire? Niente. Una cosa del genere la si vive e stop. Io c’ero. Ho visto il gol di Martial e il gol di Morgan. Ho visto gli 11 in blu uscirsene a testa alta applauditi dai restanti tifosi dell’Old Trafford, nell’attesa che gli Yids entrassero in campo a Stamford Bridge, 24 ore dopo. Io c’ero, capite? Uno sfigato come me c’era. Ho visto il pareggio che ha significato PREMIER LEAGUE CHAMPIONS 2015/2016.
Manchester Utd-Leicester, il racconto della partita del secolo.
Manchester Utd-Leicester, il racconto della partita del secolo.

“Ranieri, ooh, Ranieri ooh! He came from Italy to manage the City!” cantano gli sfibrati del Leicester.
Bisogna crederci. Bisogna impegnarsi, bisogna dirsi no, io quest’ultima serie di piegamenti la faccio pure che c’ho i tizzoni ardenti dietro ai tricipiti, perché m’aiuterà nella caccia al bersaglio grosso. Perché col sacrificio, con la lotta, coi denti che mordono le labbra, così si esce dalla merda pronti a gridare. Così lottano i ragazzi del Leicester, in panchina uno sciamano del Testaccio, in campo dei folli che a livello tecnico non ci sono, ad eccezione dei tocchi carambolati di Drinkwater e della purezza di Mahrez. Kanté ad esempio è grezzissimo. Incazzuso e veloce come Cordoba, ma grezzissimo.
La partita è da aritmia cardiaca. Io che volevo andarci da spettatore neutrale mi ritrovo a tifare per le volpi e al gol di Morgan fuck off agli steward che ci vorrebbero cacciare, io e Alessio saltiamo come pidocchi impazziti in mezzo a mille tifosi dello United! C’mon lads! Let’s have a second over these scumbag wankers! Schmeichel è un fulminato cronico. Fa un’uscita che la palla la prende di petto e poi altre parate da schizofrenico. C’è abnegazione. Quella del Leicester non è una storia di speranza, ma di Abnegazione.
Manchester-Leicester ha significato soprattutto vedersela coi propri mezzi. Non viaggiavo in maniera seria da quattro anni, e caracollare nella madrepatria union jack con un inglese italianizzato è stato tosto. Mi sono limitato in ‘sti anni grigi a fare spola tra la casa base di Taranto, il buco del culo d’Italia, e Milano, la facciata da vendere alla Mitteleuropa che conta.
Un giorno all’improvviso arriva Manchester.
Beh, quant’è bello sfangarsela all’ultimo secondo, non lavarsi ché c’è poco tempo, vomitare la birra ghiacciata, imbarcarsi in oceaniche chiacchierate con gente come Blaney, come Aidan il tedesco, che hanno girato l’Europa a sostegno dello United. E poi quei 90 minuti, i 90 minuti della partita più agognata del mondo che son valsi il prezzo del biglietto e che sono terminati troppo in fretta. Troppa elettricità nell’aria. Troppa velocità. Al triplice fischio del ref ho detto “ma va’ che manca ancora il secondo tempo!”
Alla fine della fiera il Leicester si porta a casa il punto e posso dire di essere un pezzo di storia. Potrebbero espormi al museo del calcio di Firenze: esemplare di maschio adulto tarantino che ha assistito alla partita del secolo. Mi ci vedo bene, impagliato tassidermizzato e tutto. Cronologicamente sono nella storia, perché se la truppa di Ranieri avesse perso, il Tottenham avrebbe giocato con una voglia di sodomia sul Chelsea ben maggiore, con una carica maggiore eccetera eccetera. Invece il gol di Morgan. Il gol del capitano. L’ultimo gol del Leicester non ancora campione. Capite? No.
Mi sa di no.
Illustrazioni di Cristina Portolano