Nel calcio moderno, la forza fisica è (quasi) tutto. Ma per arrivare a poter mantenere quei ritmi altissimi, c’è bisogno di tanto lavoro. Ad organizzare e curare i carichi lavoro (r)esiste la figura del preparatore atletico. Uno dei più famosi in Italia è Vincenzo Pincolini che, a partire dal numero in uscita a novembre, terrà un rubrica su Soccer Illustrated.

Vincenzo ‘Pinco’ Pincolini è uno che il calcio l’ha vissuto da dentro. Nel corso della sua carriera, ha allenato Parma, Milan, Italia, Inter, Roma, Atletico Madrid, Dinamo Kiev, Lokomotiv Mosca, Ucraina, ed è attualmente il preparatore atletico dell’Italia under 19-20. Ha tirato a lucido decine e decine di campioni a partire dalla fine degli anni ’80. Braccio destro di Sacchi nel Parma, nel Milan e nella Nazionale, è stato anche alla corte di Marcello Lippi, Fabio Capello e Andrij Shevchenko.
Pincolini cambiò il modo di interpretare la preparazione atletica nel mondo del calcio, introducendo pratiche provenienti dal mondo dell’atletica leggera. A partire dal numero di novembre (in tutte le edicole, 2,50€) ci parlerà del mondo della preparazione atletica, tra aneddoti, curiosità e consigli pratici.

Nel calcio moderno, fatto di staff formati da decine tra tecnici, osservatori e collaboratori, chi è il preparatore atletico?

La figura del preparatore atletico dipende principalmente da tre fattori: la sua preparazione, la sua capacità di interagire all’interno di uno staff e quindi il suo rapporto con l’allenatore, ma soprattutto dalla sua personalità. Attualmente, gli staff sono troppo pieni di gente e questo fa sì che poi nessuno abbia responsabilità. Per come la vedo io, gli staff dovrebbero essere formati da un allenatore, un preparatore atletico ed un collaboratore che prendono le decisioni e poi una serie di “aiutanti”.
Sicuramente la nostra generazione contava di più. Forse perché eravamo una novità e perché gli allenatori intuivano che avremmo portato dei vantaggi alla squadra. Adesso è subentrata molto la tecnologia, e sono venuti a mancare i preparatori che sanno insegnare le cose, anche ai grandi giocatori. Una volta non si misurava solo quanto un calciatore avesse corso, ma si cercava di migliorarlo atleticamente. Questa è una cosa che è sparita, perché tanti giovani preparatori non conoscono a fondo le componenti coordinative dei gesti e sono passati ad essere dei lettori di dati, non andando sul miglioramento del singolo. Specialmente alle fasce giovanili alte (Primavera), a coloro che si apprestano a diventare i campioni di domani, manca questo tipo di insegnamento.

Avendo allenato dagli anni ’80 ad oggi, secondo te, è più difficile adesso o prima?

Molto più difficile adesso, perché ci sono molto meno strade e contatti per arrivare preparato a fare questo mestiere. Ad esempio, adesso la stragrande maggioranza dei preparatori conosce solo il calcio e questo è un limite grosso. La preparazione fisica va molto oltre il calcio. A livello personale, il fatto di venire dall’atletica leggera e di essermi occupato di altri sport mi è stato di grandissimo aiuto. Ti faccio un esempio pratico: se tu non corri perfettamente, non puoi avere una tecnica calcistica perfetta. Molti preparatori non lo capiscono e questo è un problema nella preparazione dei giovani.
C’è una bella frase di Federico Buffa nello speciale sulla famiglia Maldini. “E poi Paolino incontrò l’atletica leggera portata al calcio, nella figura di Pincolini”. E’ molto vero: noi, prima generazione dei preparatori, portammo le basi dell’atletica e dello sport nel calcio. Non è un caso che quella generazione di giocatori dove tantissimi hanno giocato fino a 38-40 anni. Avevano capito che allenandosi bene si sarebbe allungati la carriera.

Nella tua carriera hai allenato in giro per il mondo, dalla Spagna, fino alla Russia e all’Ucraina. C’è un posto a cui sei rimasto particolarmente legato?

Non sono solo posti, ma soprattutto momenti a cui sei affezionato. Tu rimani legato con il pensiero ai posti in cui ti senti pioniere, in cui hai qualcosa da dire che lì non conoscono. Quando ti senti protagonista e non solo comprimario, questo ti fa stare bene. Sicuramente i primissimi momenti al Parma, la mia “università”, dove curavo dal settore giovanile alla prima squadra. In questi giorni, ad esempio, la morte del Mister Marino Perani, con cui ho vinto un campionato di Serie C a Parma, mi ha fatto tornare con la memoria a quegli anni. E’ stata una scuola incredibile, perché potevamo sperimentare, lavorando sui giovani e comprando giocatori anche infortunati con l’obiettivo di rimetterli in campo.
Poi sicuramente al Milan, perché abbiamo trasferito la stessa filosofia a livelli più alti. Molti credevano che non ce l’avremmo fatta, che non saremmo potuti ad andare a prendere giocatori ed allenarli moltissimo. Un’esperienza vinta. E’ stato molto importante anche l’anno in Spagna all’Atletico Madrid, perché in Spagna in quegli anni molte cose non c’erano. Nel 1998 tutto il calcio internazionale guardava l’organizzazione italiana e il nostro modo di fare preparazione. Già lì facevo formazione, nonostante fossi giovanissimo, e lavoravo per far crescere preparatori in loco.
E poi gli anni in Russia e Ucraina, in cui ho trovato grandi società come Dinamo e Lokomotiv, o come la stessa Federazione Ucraina, che mi hanno dato la possibilità di prendere in mano la situazione e lavorare con preparatori del luogo. La mia filosofia è sempre stata quella di far crescere i giovani preparatori che trovavo nei vari club in cui approdavo. Sicuramente sarebbe stato più semplice portarmeli dall’Italia, ma quando tuttora sento questi ragazzi, provo molta soddisfazione. Lì in Ucraina abbiamo perfino aperto una scuola dei preparatori atletici, sia con la Dinamo che poi con la Federazione.
Vincenzo Pincolini Sacchi

Parlando di Milan, la mente va subito alla tua lunga collaborazione con Arrigo Sacchi. Nel calcio di oggi, c’è qualcuno che te lo ricorda?

Per la capacità di tirare fuori quello che c’è dentro ai giocatori, parlando dei tecnici italiani, Antonio Conte è sicuramente il migliore. Ho avuto modo di incontrarlo quando era in Nazionale. Lui responsabile della nazionale maggiore, io preparatore degli under, ci vedevamo e confrontavamo molto spesso. E poi per la ricerca del gioco io credo che sicuramente possiamo pensare a Maurizio Sarri.

A proposito di Nazionale, invece, come credi possa uscire da questo brutto momento?

Io vedo questo momento come un momento di cambiamento, di passaggio generazionale. C’è una nuova generazione pronta, ma non ancora prontissima. I vari Verratti sono ad un passo dall’arrivare all’eccellenza internazionale. Uno come Immobile, secondo me, ha già compiuto questo passo, lo vedo molto bene. Mentre ci sono tanti giocatori, dalle classi 93-94 in avanti, che hanno bisogno di un attimo in più di esperienza ed attesa, ma sono convinto che ci faranno tornare ad avere una Nazionale di grande valore. Bisogna vedere se Ventura riuscirà a velocizzare questo processo prima dei Mondiali, che comunque sono ormai alle porte.
Vincenzo Pincolini Del Piero Soccer Illustrated

Nel corso della tua carriera hai allenato decine di campioni. Ce n’è uno che ti ha stupito per le qualità atletiche?

Ho avuto grandi atleti e di una generosità incredibile. Donadoni, ad esempio, era sempre davanti al gruppo più per volontà che per grandissimi qualità fisiche ed atletiche. Di Weah una volta dissi che avremmo dovuto pagare noi per allenarlo, perché era troppo facile: un atleta vero.
Uno poi di quelli con cui ho legato di più è stato Franco Baresi. Era uno di poche parole, ma ogni sua parola era un tesoro. Con lui ho condiviso l’esperienza del recupero dall’infortunio al menisco ai Mondiali di Usa ’94. Sono stati giorni intensissimi, soprattutto a livello umano. Ancora oggi quel recupero ha dell’incredibile: è il secondo di sempre per minor giorni trascorsi tra infortunio e ritorno all’attività agonista. Tra l’operazione e la finale dei Mondiali passarono 16 giorni, un record.
Vincenzo Pincolini Milan Donandoni

E, invece, qualcuno che ti ha fatto dannare?

Devo dire che non ho mai fatto fatica ad allenare nessun calciatore. Penso che questo sia anche dovuto al fatto che ho sempre cercato di far capire ai miei calciatori che allenandosi bene ne avrebbero tratto tanti vantaggi. Il fatto di aver avuto calciatori così disponibili è ancora più stupefacente se pensi che in quegli anni, il tipo di preparazione atletica, prevedeva una notevole dose di fatica.
C’è da dire che comunque era un calcio diverso, un mondo diverso. Negli anni ’80-’90, un calciatore finiva sui giornali se giocava una grande partita, non se stava con una velina. Erano altri tempi..
Appuntamento allora al numero di novembre di Soccer Illustrated per la rubrica di Vincenzo Pincolini. Prenota la tua copia nella tua edicola di fiducia su Prima Edicola.