Ci lamentiamo, tutti. Se c’è una caratteristica dell’italiano medio è proprio la lamentela. Quel brutto modo di fare e di essere che ci rende grigi dentro, che ci rende piatti e noiosi. Non siamo mai contenti, soddisfatti, gratificati da una vita che non ci meritiamo. E una delle lamentele più frequenti non riguarda il calcio, riguarda la giustizia. I telegiornali ci lanciano titoli addosso, necrologi a scoppio che ci entrano in casa senza chiedere permesso e senza chiedere scusa. Condannati, condannabili, accusati e accusanti. Alla fine ce la prendiamo sempre con le pene: ingiuste, poco rispettate e mai rispettose della vittima di turno.
Questa volta il calcio e la giustizia hanno da spartirsi un protagonista che dai campi di calcio è passato alle aule di Tribunale. Fabrizio Miccoli, ex giocatore della Juventus, del Lecce, la sua città, e bandiera oltre che capitano del Palermo. Una città, oltre che una società, che si è vergognata di averlo avuto come calciatore. Anzi, come uomo. Perché ci dimentichiamo spesso che dietro ogni professione, che sia il calciatore piuttosto che l’avvocato, il giornalista o l’insegnante, c’è una persona con sentimenti, emozioni, debolezze, paure, errori e ambizioni vere. Umane, appunto. Miccoli è stato condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione per tentata estorsione aggravata dal Gup del tribunale di Palermo, Walter Turturici. L’ex calciatore è stato accusato dalla Procura di aver incaricato il suo amico, nonché figlio del Boss della Kalsa, Mauro Lauricella di recuperare una somma di denaro sostanziosa (che va dai 12mila euro secondo la Gazzetta e 20mila euro secondo Sky Sport). Lo stesso Lauricella avrebbe utilizzato metodi mafiosi per il recupero del denaro in favore di Fabrizio Miccoli. Lauricella e un amico, Amato, sono stati, a Luglio 2016, assolti da ogni accusa anche se inizialmente erano stati per loro chiesti 10anni di reclusione. “Siamo basiti” affermano i legali di Miccoli che non ha voluto commentare la sentenza se non con qualche lacrima che parla più di mille dichiarazioni e pesa di più di una chiara affermazione. E dopo tutto ciò ci ritorna in mente quella telefonata intercettata tra Miccoli e Lauricella dove i due cantavano e ridevano prendendo per il culo Giovanni Falcone (“quel fango di Falcone, quel fango di Falcone”). Una cosa ignobile che sconvolse il mondo del calcio, della politica e della giustizia.
E adesso? Cosa succederà a Miccoli? Gli avvocati si rivolgeranno al processo d’appello poiché Miccoli si è sempre dichiarato innocente e ha respinto ogni capo d’accusa anche quelle riferite al possesso di diverse schede telefoniche che mettono altre ombre sulla questione. Anche se, purtroppo, sembra chiarissima. Le pene verranno rispettate o ci dovremo lamentare di una disparità di giudizio?