Sono già le quattro e mezza. Il tempo pare davvero volare quando si gioca a scopone o briscola. Anche quando l’estate ha ancora qualcosa da dire, quando la sera sembra non volerne proprio sapere di arrivare. P. ha appena calato la carta sbagliata nel momento peggiore di quel pomeriggio: un carico che proprio non ci stava, un tre di coppe pronto ad essere dato in pasto a una briscola tenuta in caldo per l’occasione. P. ha sbagliato e se ne è accorto nel momento stesso in cui la sua carta è finita sul tavolo. Lo sguardo di F. basta e avanza, la polemica è già pronta dietro al bianchino. Del resto non c’è niente di più democratico della discussione davanti a una giocata sbagliata, a una storia di una partita che era partita bene ma si è messa male nello spazio di un “ma cosa stai facendo?” pronunciato nei dialetti più disparati a seconda della latitudine. Gramsci scriveva che gli italiani preferivano “la quiete intorno a un tavolo” piuttosto che lo sport. Ma la quiete intorno al tavolo c’è soltanto quando non c’è un mazzo di carte, una manovra economica o una partita di pallone nel mezzo. La quiete intorno al tavolo, insomma, non c’è mai. Non c’è spazio nemmeno per una tregua natalizia o pasquale. Ci sarà sempre spazio per una briscola sprecata o un rigore assegnato ingiustamente.
VAR
“Dov’è la legge che bisogna rispettare? Essa varia di luogo in luogo, è occasione continua di contestazione e di litigi”. Sì, altre parole di Gramsci. Altro vetriolo versato sulle quaranta carte sparse sul tavolo. O forse su un rigore da contestare fino alla prossima stagione? Sul quale F. e P. si scannerebbero a colpi di pugni sul tavolo e mani agitate nell’aria in direzione del televisore. Litigi, contestazioni, discussioni e punti di vista. Non c’è nulla di più democratico di un rigore sbagliato. Ora che la cenere si sta spegnendo sono già emerse una decina di versioni diverse. Tante quante le inquadrature fornite da moviole e movioloni, opinionisti e presunti tali. Eppure questa democrazia da bar pare scricchiolare sotto i colpi dell’ultimo arrivato alla corte del pallone. Lo chiamano VAR. C’è chi si è scannato per scegliere il corretto articolo determinativo per parlarne e scriverne. Figurarsi quando l’arbitro, alla prima giornata di campionato, ha richiesto l’ausilio della tecnologia per dirimere una questione spinosa, delicata a dir poco. Un altro gesto nell’aria, una sfida alla democrazia della moviola dove si celano correnti di pensiero e spifferi di discussione. In quel rettangolo tracciato nel nulla qualcuno ha visto uno strumento per spazzare via l’aleatorietà di una decisione difficile, un fardello che arbitro e assistente dovevano portarsi sul groppone per ben più di novanta minuti. Rigore o becera simulazione? Gol regolare o fuorigioco? Il VAR ha le idee fin troppo chiare. Quelle immagini proiettate sullo schermo hanno i profili della verità assoluta. Incontestabile. Un velo di dittatura che cala sulla tribuna, sul tavolino qualunque in un bar qualunque. “Così è”, senza il “vi pare” anche in pieno recupero, anche se quello potrebbe essere il primo gol nella massima serie per una squadra che in A non era mai arrivata. Via anche il romanticismo, al diavolo la moviola. Banditi entrambi nel nome della certezza della “pena”. Il VAR marcia sui campi senza regole, senza il contrappasso di un errore marchiano. Imperversa senza quelle limitazioni che sul parquet della pallavolo sono già sbarcate da tempo. Dittatura del VAR. L’ordine che prende il posto di un caos ordinato a tratti e sconclusionato davanti al caffè del lunedì. “La quiete intorno ad un tavolo” che torna sotto una nuova veste, quelle di un viandante con il capo chino e lo sguardo oscuro. Che parla poco ma che quando lo fa è per mettere di fronte l’interlocutore al fatto compiuto. Sia egli un portiere o un milione di tifosi. Con la voce tanto roca quanto decisa, con gli occhi che brillano di una verità scomoda. Potrà durare? Difficile dirlo, impossibile fare previsioni davanti ad un pallone che gira sempre più velocemente. Ma il calcio poco ama le costanti, le catene di regolamenti troppo stringenti. La speranza di evadere e rifuggire dall’ordine precostituito cova già su quel tavolino qualunque. E non potrebbe essere altrimenti: anche la più avanzata delle tecnologie non potrà mai cancellare l’onta di una briscola sbagliata.
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