Scoprì Meazza, vinse uno scudetto con l’Inter (1930) e due con il Bologna (1936 e 1937),scrisse con Aldo Molinari, dirigente nerazzurro, il manuale “Il giuoco del calcio”. Di Arpad Weisz, allenatore ebreo ungherese, si erano perse le tracce: “Mi sembra si chiamasse Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito”, scrisse Enzo Biagi.

Come è finito lo ha raccontato il giornalista e scrittore Matteo Marani nel libro “Dallo scudetto ad Auschwitz”. Marani, “detective della memoria” come si è definito lui stesso, ha ricostruito gli ultimi anni di vita di Weisz che fu catturato in Olanda e deportato nel lager nazista dove morì il 31 gennaio 1944.
Un viaggio negli archivi della memoria, dalle scuole Bombicci di Bologna frequentate dal figlio Roberto, a Parigi fino ad Auschwitz. Weisz arriva con la famiglia a Bologna nel gennaio 1935, vanno a vivere in via Valeriani 39, non molto lontano dallo stadio. Quattro anni più tardi sono costretti a lasciare la città emiliana e l’Italia a causa delle leggi razziali. Inizia così l’ultima parte della sua vita in un viaggio che dall’Italia lo porterà prima a Parigi e poi in Olanda, dove appunto viene catturato e deportato con la famiglia ad Auschwitz.

Matteo Marani, vice-direttore di Sky Sport, e autore del libro Arpad Weisz: dallo scudetto ad Auschwitz.

Il libro di Marani ha avuto il merito di riportare alla luce una vicenda umana e sportiva che nessuno più ricordava, spezzata dalla follia nazi-fascista. Dalla pubblicazione del libro ad oggi sono state numerose le iniziative per ricordare Weisz, come ad esempio una targa alle scuole Bombicci. Ora la mostra “Arpad Weisz, dal successo alla tragedia” al Museo Ebraico di Bologna – in programma fino al 18 marzo – lo ricorda ,nell’ambito delle iniziative per il Giorno della Memoria, attraverso fotografie, documenti e le tavole illustrate tratte dal volume di Matteo Matteucci, “Arpad Weisz e il Littoriale”.
La storia di Weisz è “una di quelle storie – ha commentato il presidente della Regione Stefano Bonaccini inaugurando la mostra – che non dobbiamo mai stancarci di narrare e che le giovani generazioni devono conoscere perché in futuro non sia più possibile che un regime promulghi leggi contrarie a qualsiasi principio di civiltà”.
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