E’ notizia di poche ore fa il nuovo infortunio per Faouzi Ghoulam. Durante una sessione di allenamento con la squadra, il terzino sinistro del Napoli si è infortunato allo stesso ginocchio operato per la rottura del legamento crociato. Sospetta frattura della rotula e stagione quasi sicuramente finita. E noi ci siamo rotti il cazzo.

Non ce l’abbiamo con nessuno, tantomeno il Napoli, il calciatore o lo staff medico che ha lavorato al recupero dell’ infortunio. Non vogliamo puntare il dito contro una persona in particolare. Noi ce l’abbiamo con una tendenza che negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede e sta mietendo sempre più vittime: l’accelerazione dei tempi di recupero.
Il calciatore algerino è, infatti, solo l’ultimo di una lunga lista di colleghi che, per recuperare il più in fretta possibile da un infortunio, se ne sono procurati un altro. La colpa, però, non è da attribuire ai calciatori. Sarebbe troppo facile. E’ evidente e naturale che ogni sportivo cerchi di forzare i tempi di recupero. E’ la passione che lo spinge a farlo, sia che giochi nel Real Madrid sia che si diverta a calcetto con gli amici il giovedì sera. Anzi, forse il secondo preme e si dispera più del primo.
Sarebbe facile anche additare le società. In fin dei conti, sono proprio i club ad avere maggiori danni dall’infortunio di un proprio tesserato. Quindi si potrebbe pensare che siano proprio loro a volere a tutti i costi rimettere in campo i giocatori, anche se non hanno ancora recuperato totalmente. Vero? Ni.
Sicuramente c’entra anche quello. Ma non solo. Forse – e lo dico da ignorante – la medicina sportiva dovrebbe in alcuni casi fare un passo indietro. Mettersi di traverso anche di fronte al pressing di calciatori, società e sponsor. Forzare i tempi a volte non serve, è un rischio inutile.
Bisognerebbe capire che, attualmente, non si è ancora in grado di rimettere in piedi in soli 3 mesi un calciatore con un legamento crociato rotto. I dati lo dimostrano. Esisteranno casi in cui l’intervento è perfettamente riuscito e il calciatore non avrà avuto ricadute o strascichi, non lo metto in dubbio. Ma è l’eccezione che conferma la regola.
Solo in Italia, negli ultimi due anni è successo a diversi giocatori: da Milik a Florenzi, passando per Mattia Perin, Kevin Strootman e De Vrij. Tutti calciatori che hanno subito un infortunio grave al ginocchio e che, durante il periodo di recupero, ne hanno riavuto uno uguale o molto simile. Non può essere un caso. Non può essere sempre la genetica, che in alcuni casi è evidentemente la causa principale: basti pensare allo sfortunatissimo Giuseppe Rossi, di cui potete trovare un bellissimo ritratto sul nuovo numero di Soccer Illustrated (in edicola dal 13 febbraio). O anche del meno noto Daniele Galloppa, un altro che con la sfortuna ha dovuto fare i conti diverse volte.

Il Napoli, in questo caso, pare quindi non avere imparato dai propri sbagli. Prima Milik, ora Ghoulam. Entrambi infortuni che sono costati e possono costare molto caro ai partenopei, vista anche la panchina ridotta da cui può attingere mister Sarri. E non aveva imparato nemmeno la Roma dal caso Strootman, visto lo stesso problema avuto nella scorsa stagione da Florenzi.
Gli infortuni sono una cosa seria. Non solo perché si è lontani dal calcio, dal proprio lavoro, dalla propria passione. C’è un trauma psicologico da non sottovalutare che ti condiziona anche dopo diverso tempo dal tuo recupero. Spesso, anche se si sta bene, si ha paura di fare un contrasto, di entrare in scivolata. Basti pensare al portierone Petr Cech che, dopo uno duro scontro aereo, gioca da ormai più di 10 anni con un caschetto che lo fa sentire più sicuro. Ci sono un sacco di giocatori che non sono più stati gli stessi. Altri che addirittura si sono dovuti ritirare. Non si tratta solo di punti o di un campionato, ma anche e soprattutto della carriera e della vita di ragazzi spesso molto giovani. E allora lo diciamo con serenità: non ce ne frega niente di una vittoria in più o in meno. Forse può sembrare della banale retorica, ma la salute, fisica e mentale, è molto più importante.
Abbiamo la tecnologia. Abbiamo macchinari sempre più avanzati in grado di aiutare gli sportivi a recuperare al meglio. Abbiamo tutti i mezzi al mondo per evitare queste assurde ricadute. Basterebbe aggiungere una cosa che nessuna attrezzatura al mondo può darci, ma che dovremmo avere noi: il buon senso. Cerchiamo di usarlo.