Gaby Mudingayi, classe ’81, centrocampista centrale e mediano puro, di quelli che non lasciano respirare l’avversario, ligio al duro lavoro, insomma pochi fronzoli e tanta sostanza.

Sorseggiando un aperitivo insieme, oltre alla sua grande professionalità ho conosciuto un ragazzo innamorato del calcio che soffre l’assenza forzata dai manti erbosi e con la voglia di dire ancora la sua: “Non definirmi ex calciatore, mantengo la forma e lavoro duro per farmi trovare pronto; non mollo, sono ancora in pista”.
Gaby sei pronto a tornare in campo? Ti sono arrivate offerte da India e Cina?
“Valuterei qualsiasi proposta interessante e da qualsiasi continente; decidere di giocare in Europa sarebbe sicuramente più semplice. Ma sarò sincero, opterei per questi nuovi campionati solo se dovessi ricevere proposte importanti, dopotutto come dimostrato dai miei colleghi, ci si sposta in Asia solo quando si parla di ingaggi elevati, non andrei dall’altra parte del mondo per guadagnare quello che potrei prendere qui”.
Inizio carriera in Belgio, poi l’arrivo in Italia con l’interessamento del Torino.
“Quello fu un momento bellissimo per me, da piccolo non amavo moltissimo il calcio, ho iniziato tardi, verso i quindici anni, quindi puoi immaginare l’emozione di ricevere offerte dall’Italia che in quel momento era il campionato più prestigioso dove poter giocare, rifiutai la Premier League. E poi il Toro con la sua storia, un club affascinante”.
E’ notizia di qualche giorno fa, l’inaugurazione del nuovo “Filadelfia”.
(Gli si illuminano gli occhi) “Bellissimo! E’ un posto magico, il Toro non poteva fare cosa più bella, avere la fortuna di allenarsi lì è qualcosa di incredibile, al Fila era sempre festa, sempre pieno di tifosi”.
Torino, Lazio, Bologna, Inter, club di alto livello, carriera ricca verrebbe da dire, secondo me invece hai espresso metà del tuo vero potenziale, causa gli infortuni. Che ne pensi?
(Lungo sospiro) “Tocchi un tasto che fa male, nella mia carriera ho sempre lavorato tantissimo, non mi faccio problemi nel dirti che quello che ho ottenuto nel calcio è stato frutto di sacrificio, non ho mai avuto il talento, ho sempre lavorato sodo perché sapevo della possibilità che potesse arrivare un altro con doti migliori delle mie. Per un giocatore come me l’infortunio non è mai lieve, chiedo tanto al mio fisico, nei 90 minuti di gioco il mio ritmo non calava mai, anche durante gli allenamenti ero sempre uno degli ultimi a lasciare il campo…tutti gli acciacchi che ho avuto non mi hanno permesso di esprimermi fino in fondo”.

E poi l’Elche, si pensava a una nuova giovinezza e invece ti ha stoppato la crisi finanziaria del club.
“Quella fu un’altra cosa incredibile, arrivai in Spagna entusiasta, l’Elche aveva bisogno di un giocatore come me, ‘di rottura’, ero perfetto per il loro discorso tattico; strutture all’avanguardia ottimi rapporti con mister e dirigenza, sul più bello fallisce la società; dopo questo episodio mi sono intestardito, volevo la serie A. Mi sono preso troppo tempo per valutare le varie offerte che mi sono arrivate, non avendo avuto risposta le società si sono mosse in altre direzioni. Dopo le brevi esperienze con Cesena e Pisa mi sono ritrovato fermo un anno, ed è dura, adesso sono fuori dal giro, con la convinzione però di poter giocare almeno altri due anni”.
Hai militato nella nazionale belga, cosa pensi della selezione attuale?
“Ha grandissimo potenziale, adesso ci sono i ragazzini che ho visto crescere dal punto di vista calcistico, Hazard e Mertens su tutti. Dries è un giocatore che può fare tutto, in allenamento non riuscivamo a capire come un giocatore così piccolo riuscisse a fare determinate cose, pazzesco”.
Mi riallaccio all’articolo di Soccer Illustrated che abbiamo dedicato agli “Extravaganti”, hai parlato con loro, li hai motivati quando avevano bisogno di forza ed energia per continuare il loro progetto.
“Amano giocare a calcio, devono farlo con il sorriso. Gli ho detto di divertirsi, durante una partita devono mettere da parte tutto, dimenticare i problemi, non dare peso agli insulti; anche io sono stato oggetto di insulti, ma non ho mai dato peso alla cosa, io pensavo alla partita, alle caviglie degli avversari”.

Progetti Futuri? Ti vedi a insegnare calcio?
“Sto riflettendo, sicuramente il calcio è il mio mondo, sentire l’odore del campo, vivere lo spogliatoio, la gara, sono cose che sento dentro, ho intenzione di prendere il patentino da allenatore, e se dovesse servire anche quello per il pullman (ridiamo tutti e due)”.
Hai tre figli, augureresti loro una carriera da calciatore?
“La felicità, la felicità prima di tutto. C’è il più grande che ama il calcio, ma a prescindere da quello, devono sentirsi liberi di fare quello che vogliono, io non faccio loro pressioni, devono sentirsi liberi di fare ciò che li gratifica di più con la massima serenità”.
Quella che doveva essere un’intervista è diventata una chiacchierata informale, quasi come fossimo amici da sempre. Gaby Mudingayi è in forma e ha voglia di dimostrarlo.
A proposito, quasi dimenticavo, il cocktail di Gaby era analcolico.