Zvonimir Boban, numero 10 in campo e nella vita, dopo una lunga e gloriosa carriera da calciatore, una laurea in storia e una parentesi da giornalista, il 30 maggio 2016, è stato nominato vicesegretario generale della Fifa per lo sviluppo del calcio e l’organizzazione di competizioni.

Dallo Speciale Gran Galà del Calcio 2018, distribuito un mese fa anche a Pitti Uomo.

Intervista di Tommaso Lavizzari. Foto di Maurizio Borsari.

Ho avuto il piacere di raggiungere Zvonimir Boban per qualche domanda a proposito dei cambiamenti nel mondo della comunicazione legata allo sport, della grande importanza che la Fifa sta dando alla crescita del calcio femminile e della crisi del calcio italiano. In campo mi avrebbe certamente dribblato, in questo caso, Zorro, ha lasciato il segno offrendo importanti spunti di riflessione.

Dagli autografi ai selfie: com’è cambiato il rapporto diretto tra tifosi e calciatori?

É più o meno la stessa cosa, ma è cambiata la forma. I calciatori sono ancora gli idoli dei tifosi e, quindi, hanno la responsabilità di giocare bene, di impegnarsi al massimo e di comportarsi bene, di dare sempre tutto nel rispetto dei tifosi. I selfie non hanno preso il posto degli autografi, il problema non sono i selfie con i calciatori, il problema sono i selfie durante la partita, che vuol dire che non la stanno guardano!

Zvonimir Boban (Croazia)

Questa cosa mi fa arrabbiare! Questo è il problema: il gioco passa in secondo piano. Pensano di essere loro i primi attori allo stadio, mentre i primi attori devono essere i calciatori e il bel gioco. Senza la cultura del calcio giocato perdiamo l’essenza di questo fantastico gioco. Tutto deve partire dalla palla che rotola sul campo.

I social network mettono i calciatori costantemente sotto i riflettori, voi invece avevate il filtro della stampa: come vedi questo cambiamento? Le Società dovrebbero intervenire anche sulla gestione dei contenuti privati dei propri calciatori?

É cambiato molto dai miei tempi. Dipende certamente dalla cultura di ogni singola persona. Questo vale sia per i calciatori che per i giornalisti. A volte si vedono i giornalisti come nemici, altre volte sono proprio loro i primi nemici della verità. I calciatori devono costruire sopratutto un rapporto con le Società che, a propria volta, hanno il dovere di tutelare loro stesse e i propri calciatori costruendo con loro la miglior strategia di comunicazione. Si deve comunicare per forza, non è un aspetto trascurabile nel calcio. Siamo messaggi che camminano, noi che muoviamo milioni di appassionati siamo la comunicazione. Le Società, quindi, dovrebbero educare i propri calciatori a sapersi comportare, ma tanti editori dovrebbero educare i propri giornalisti ad avere un rapporto costruttivo e non a continuare nell’estenuante ricerca dell’errore altrui e della guerra mediatica. Vivremmo tutti un po’ meglio, cosa dite?
Il problema è che si sono persi i pilastri fondamentali della comunicazione in mezzo a questa follia mediatica che fa sentire tutti determinanti; ma anche questo processo si calmerà e troveremo un nuovo e diverso equilibrio. É ciclico.

Il calcio femminile sta prendendo finalmente piede anche in Italia: pensi che possa offrire un’opportunità di crescita culturale a tutto il movimento? Cosa pensi che possano dare le donne al mondo del calcio?

Le donne, ormai da molti anni e in molti paesi, occupano ruoli sempre più importanti, a vari livelli. Non ne faccio un problema di genere, nel calcio come nella vita, ma di capacità. Chi ha più capacità deve occupare certe posizioni, questo è l’unico criterio. Il criterio deve essere meritocratico, non si deve cadere nell’errore contrario, ovvero facilitare le donne in quanto tali, perché sarebbe ancor più sminuente per loro e discriminante per gli uomini. Personalmente, mi farebbe piacere vedere più donne nel mondo del calcio perché per troppi anni abbiamo peccato di maschilismo ed è una vergogna storica. Avremmo dovuto capire già negli anni ’60, con le prime aperture sociali, che bisognava spingere affinché il calcio diventasse anche il gioco delle donne. É stato un grave errore che stiamo cercando di correggere con la nostra nuova visione. Grazie al nostro Presidente, la Fifa sta facendo di tutto perché passi questo concetto e, per questo, si sta investendo molto nel calcio femminile. La vostra stessa attenzione all’argomento dimostra che stiamo riuscendo a far accettare globalmente il calcio come uno sport per le donne. É fondamentale.

Il calcio italiano arriva da un momento molto complicato: qual è, a vostro avviso, l’intervento più urgente da compiere?

Zvonimir Boban (Croazia)

Devono sedersi tutti insieme attorno a un tavolo e capire perché non ci sono più talenti. Dopo Pirlo non ho più visto talenti e questa è una cosa gravissima per il popolo italiano, che ne ha sempre avuti parecchi. Un popolo di geni che ha un problema evidente a livello giovanile, da anni. Non devono interessare i risultati collettivi, l’obiettivo deve essere quello di costruire calciatori di grande livello per grandi palcoscenici e questo non avviene da parecchio tempo. Questo è un problema grave.

«Si è collettivizzato il calcio a danno dei più bravi, che non vengono adeguatamente valorizzati». (Zvonimir Boban)

Il talento va lasciato libero, non si possono trattare tutti allo stesso modo, serve un occhio diverso per qualcuno. Se si imprigiona la fantasia nell’obbligo dell’uno-due e del non dribblare avremo sempre i risultati a livello giovanile ma non avremo mai i grandi calciatori. Questi sono i semplici e veri problemi del calcio italiano. É lì che si deve intervenire. Se avremo amministratori che vengono da banche o grandi aziende, però, il sistema non cambierà mai.