Qualcuno mi chiede se è berlusconiano. Rispondo che non lo so. Non l’ho incontrato di persona, non ho neanche visto come si rade la barba, quindi non saprei davvero come dedurre per quale partito tenga botta.

Tralasciando il cazzeggio, forse chi lo chiede ha in mente questo pezzo, ma per quanto ne so, Massimiliano Gallo, aka il Napolista, potrebbe anche essere un renziano reazionario o, se volete, un neo craxiano post-gigliato, chi lo sa. Io, ad esempio, l’ultima volta che ho votato, ho votato radicale, eppure, a vedermi appena sveglio, diresti che sono un reduce dei Nuclei Armati Proletari, o quanto meno di estrema sinistra, come la mortadella di Gaber. Ad oggi potrei definirmi, specie in area di rigore partenopea, un decrescenziano convinto.

Il fatto è che ad affrontare le questioni calcistiche di Napoli si rischia di offendere qualcuno che proprio non lo merita; è questa la sensazione che provo, per quanto possa essere sbagliata. Insomma, ne conosco pregi e difetti. Leggo il pezzo di Fulvio, ad esempio, e mi viene da dire “che pezzo sentito”, anche se non sono d’accordo con tutto quello che ha scritto: secondo me, il rigore su Albiol non c’era, per dirne una. Però dopo aver letto gli insulti razzisti contenuti in quei cori, mi è salita l’amarezza: ha fatto bene Fulvio a marcarli nel suo reportage schietto da tifoso sanguigno. Si sa, il calcio è portatore sano di miseria e storie leggendarie; e anche se non sopporto certi cori la musica finto rock la new wave italiana il free jazz punk inglese, lo amminchio lo stesso. Come ha scritto Paolo Maldini dopo la partita Barcellona-PSG: “I love this game”.

«Dicono che abbracciarsi faccia diminuire l’ansia»

Giorni fa ho anche sognato di leggere un pezzo su Napoli-Real Madrid, qui su Soccer Illustrated, scritto da Cormac McCarthy. Iniziava tipo così: “Finirono per conoscere bene il calcio di notte. Occhi sconfitti che scorgevano speranze più antiche della loro storia. Occhi incatenati alla stella polare, gridavano con l’Orsa in gola mentre Orione sorgeva a sudovest come un grande aquilone elettrico. Lampioni industriali spenti, come ossa d’acciaio dormienti. L’erba blu sotto la luce lunare, liberata dai tacchetti che correvano tra le sagome dei loro fantasmi, formando cerchi fulgenti che ruotavano come sottili astrolabi, in un certo modo doloroso che faceva pensare a navi sul mare, e gli occhi lucidi sugli spalti apparivano nel ricordo e scomparivano nel presente, continuamente, come una miriade di sguardi ammiccanti sul fondo di un pozzo cupo come la pece. Non rimaneva che vedere tempeste così lontane da non riuscire a sentirle, mentre la sottile, nera dorsale del Vesuvio vibrava prima di essere risucchiata nel buio”.
Al risveglio ho abbracciato la mia compagna. Dicono che abbracciarsi faccia diminuire l’ansia.

Champions League, Napoli-Real Madrid
Champion League, Napoli-Real Madrid

Digressioni, domande e altre sciocchezze

Basta però parlare dei cazzi miei, che questo non è un diario e neanche Writeandroll, anche se scrivere di se stessi, come scrivere una biografia, significa pur sempre scrivere una storia, significa finzione.
Digressioni a parte, ho deciso di porre a Massimiliano domande relativamente semplici, per avere qualche spunto su cui ragionare soprattutto alla fine del pezzo. Ambizione alta forse, ma meglio fallire che rinunciare. Ci sono delle questioni così ridicole nel contesto, che a volte sembra di vivere in un Bagaglino perenne.
La prima domanda riguarda la polemica nata dalla ormai famosa intervista post-partita di De Laurentiis: dalla Gazzetta dello Sport, all’odio dei polentoni per i terroni, passando per Camillo, colui che ha più corsi intitolati a suo nome che manco il nome di questa Povera Patria (non sono un nazionalista, ma è la seconda volta che mi viene in mente Battiato, sarà perché un po’ di vergogna la provo comunque).

Che poi, quest’odio di palma tra Nord e Sud è solo l’ennesima lastra nostalgica che mostra lo scheletro di un Paese ripiegato sul passato, un popolo incapace di leggere e capire il mondo che gli è intorno, la quotidianità che respira. A sentire slogan come “Lavali col fuoco” viene spontaneo chiedersi: ma che siamo in un film di Alberto Sordi?! degli anni Cinquanta? No, siamo nel 2017, la Milano da bere ce la siamo quasi bevuta, è rimasto il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, e Roma… ahaha. “La scheggia nell’occhio è la miglior lente di ingrandimento”. L’Italia attuale sembra una provincia d’Europa in cerca d’autore e identità.
Lo stesso libro di Forgione mi sembra un’interpretazione faziosa della realtà in salsa complottista: il campionato italiano non sfugge alle (non) regole del capitalismo; si tratta di un sistema che non ha –  e non può avere – una giustizia sociale di fondo (leggi anche: redistribuzione del reddito): il capitalismo etico non esiste da nessuna parte. Così come la meritocrazia non ha niente a che vedere col comunismo: “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”; questa frase, rielaborata dagli Atti degli apostoli (cfr. At 4, 35) e resa celebre da Marx, non può essere oggetto di fraintendimenti.
Comunque, accantonando questi aspetti politico-economici, credo che la Juve e il Milan siano le uniche società italiane che abbiano dimostrato, nel corso degli anni, quanto sia importante avere una certa mentalità, saper gestire una partita ed essere convinti di poter vincere qualsiasi sfida. L’Inter, la Roma e il Napoli sono squadre capaci di compiere miracoli con un vento emotivo a favore, ma quando questo vento cessa di soffiare, i problemi irrisolti tornano prepotentemente a galla bruciando tutte le aspettative dei tifosi.

Insigne, Mertens e Callejon
Insigne, Mertens e Callejon

L’intervista al Napolista

Le altre domande le ho poste volutamente in modo più generico possibile (vedi “cori contro i meridionali” invece di dire “cori contro i napoletani”), perché ero sicuro che Massimiliano avrebbe recepito il significante e il significato senza nessun aiuto da casa, diciamo così. E infatti.
Aurelio De Laurentiis è il migliore o il peggiore presidente che il Napoli abbia mai avuto?
A domanda secca, dico che il migliore resta Ferlaino. I risultati parlano per lui. Ma De Laurentiis è il secondo e senza Maradona sarebbe il primo.
Perché manca un giornale sportivo del sud? A quale editore campano lo affideresti? Si potrebbe pensare anche a un imprenditore che non sia made in Napoli?
Al Sud, così come nel resto d’Italia, si tifa soprattutto Juventus, Milan e Inter. Un giornale sportivo del Sud dovrebbe per forza di cose occuparsi di queste tre squadre. Servirebbe un giornale napoletano, in grado però di essere autorevole e di essere influente. Non è fondamentale che l’editore sia napoletano.

La differenza tra il Napoli e le grandi d’Europa

Cosa manca al Napoli per vincere lo scudetto e per arrivare a giocarsi una finale di Champions League?
Beh, basta guardare il Paris Saint Germain: sei anni di investimenti e non hanno mai raggiunto una semifinale di Champions. Il Napoli agli ottavi di Champions è già al di sopra della propria dimensione, almeno storicamente parlando. Bisogna sempre ricordarsi da dove si è partiti. Anche nei campionati stranieri sono poche le squadre a vincere i campionati. Altrimenti la vittoria del Leicester non sarebbe diventata leggendaria. Cosa manca al Napoli? Occorre l’esperienza, servirebbe non deprimersi a ogni campagna acquisti, non avere quella sensazione di ripartire daccapo che ci assale ogni anno. Quest’anno il Napoli, sia pure tra tante critiche per la cessione di Higuain, ha messo a segno un mercato intelligente e di prospettiva. Rog, Diawara, Zielinski, Milik sono stati grandi acquisti. Questa è la strada da seguire.

Napoli giovane. L'intervista del Napolista
Napoli giovane. L’intervista del Napolista

Come superare i luoghi comuni su Napoli e i napoletani?
Non lo so. Magari ignorandoli.
Perché certi cori contro i meridionali continuano ad essere “normali” anche per i media?
Contro i napoletani più che contro i meridionali. Manca la percezione dell’offesa, della discriminazione. E nemmeno noi riusciamo a trovare un modo per evidenziarlo in termini non solo di denuncia. Occorrerebbe un sano sfottò che però colpisca e denudi il razzismo più o meno serpeggiante che si respira in alcuni stadi e non solo.

Ad oggi, possiamo dire che vendere Higuain è stato un affare?

Per me, sì. Decisamente. Ma la mia è una posizione minoritaria.

Perché il Napoli ha perso quella partita contro la Juve? Colpa dell’arbitro? Di Reina? Della poca convinzione o di nessuno? E sulla partita di ritorno contro il Real Madrid, avresti fatto scelte diverse da quelle di Sarri?
Secondo me il Napoli è stato sconfitto a Torino soprattutto perché ha perso la testa sull’1-1. E ha giocato come se la sfida non fosse sui 180 minuti. Un difetto su cui il Napoli deve lavorare è la lettura della partita. Non si può giocare sempre allo stesso modo. C’è un momento per tutto: per attaccare, per rifiatare, per difendersi. Deve imparare a cambiare ritmo, ma sono miglioramenti difficili da compiere in poco tempo. Nulla da dire sulla formazione di Napoli-Real Madrid.
Il Napoli non è il Barcellona, ok, mi sembra che questa constatazione non sia uno scoop, ma, a proposito di rigori dubbi, sulla partita Barcellona-PSG, i rigori assegnati al Barcellona c’erano tutti secondo te?
Il rigore del 5-1 può essere considerato dubbio. Di fatto, però, il difensore è stato stupido, non c’era alcun motivo di avvicinarsi tanto a Neymar.
Hai mai pensato di far diventare Il Napolista un mensile cartaceo da comprare in edicola? 
No, per vari motivi. Un po’ perché abbiamo tanti lettori lontano da Napoli. Un po’ perché ho abbandonato la carta stampata come giornalista più di sei anni fa. Dovrei pensarci, però il web mi dà un’adrenalina cui non riuscirei a rinunciare. Anche se è decisamente più stancante e impegnativo.
La (breve) intervista termina qui. Mentre il pezzo mai scritto di McCarthy finiva più o meno così: “Un uomo di nome Aurelio pregò per chiedere la pioggia. Così pregava: Dio onnipotente, se questo non va troppo oltre l’ordine delle cose nel tuo piano eterno, non pensi che potremmo avere un po’ di pioggia, quaggiù. Prega forte, gridò qualcuno dalla curva scura, e lui si inginocchiò e urlò fra i tuoni e il vento: Signore, noi quaggiù senz’acqua stiamo impazzendo. Appena qualche goccia per noi, così lontani e vivi. Amen, dissero i pochi presenti, pronti a riprendere il cammino. Da lì a poco il vento si rinfrescò e da quella oscurità caddero su di loro gocce di pioggia grosse come acini d’uva. Annusarono l’erba fradicia e il dolce odore del cuoio bagnato. E proseguirono il cammino”.

Mi fa “impazzire” immaginare De Laurentiis in ginocchio mentre prega. Mi fa “impazzire” quella pioggia, il suo significato. Forse anche questo è un luogo comune, ma vorrei che quell’invocazione fosse interpretata come un bisogno, il bisogno di continuare a sperare che tutte queste cazzo di lamentele finiscano per sempre. Il gioco del calcio è Baggio che sbaglia quel rigore, è la garra del Cholo, è Grosso che ce la fa, è Barcellona-PSG; è Diego che contro la fisica di dio mette dentro quella punizione in area di rigore dell’Avvocato, con Prisco in sottofondo che sghignazza.

Insomma, vorrei che quell’invocazione fosse letta come il bisogno di qualcosa di migliore; in fondo, come dicevo sopra, sono un decrescenziano: “Napoli per me non è la città di Napoli ma solo una componente dell’animo umano che so di poter trovare in tutte le persone, siano esse napoletane o no. A volte penso addirittura che Napoli possa essere ancora l’ultima speranza che resta alla razza umana” (L. De Crescenzo).