Il calcio è un romanzo. In questo caso a lieto fine. E forse la vicenda che stiamo per raccontare è diventata storia solo perché accaduta in Italia. Un paese meraviglioso, con una cultura del calcio ineguagliabile – così come in generale – troppo spesso sporcata da episodi di illegalità.

A noi i cattivi piacciono, perché sono il sale della vita. Ma anche gli onesti sono interessanti. Soprattutto quelli che attraverso i loro gesti non ne traggono profitto. Anzi, vengono penalizzati da quell’ingenua e sana rettitudine e sereni con il sorriso sulle labbra ti spiegano: “Per me è normale”.
È il profilo di Eros Bruschi, 24enne di Codogno in provincia di Lodi. Nella domenica appena trascorsa era in campo con il suo San Rocco in Seconda categoria contro il Pontegreen. Una gara equilibrata, recita il tabellino del quotidiano locale Libertà, fino a metà del primo tempo quando l’attaccante Bruschi trova uno spiraglio nella difesa, entra in area, si trova a tu per tu con il portiere ma cade a terra e viene travolto dal difensore. Calcio di rigore.

Rigore? No, grazie.

Adesso, parliamoci chiaro. Persino chi gioca a calcetto con gli amici il giovedì nel tardo pomeriggio fatica ad ammettere che se cade in area da solo nessuno gli ha fatto fallo. Eros no. Si rialza, nonostante abbia subìto un infortunio, va dall’arbitro e spiega candidamente che la caduta è stata causata dallo strappo del bicipite femorale e l’avversario gli è crollato addosso proprio per la sua brusca frenata. Chapeau.
Un gesto di fair play, che prima ancora si potrebbe chiamare semplicemente “buona educazione”, che dal calcio dilettanti dovrebbe essere portato d’esempio ai professionisti di ogni categoria. La partita termina 1-1, arbitro e avversari lo ringraziano e gli fanno i complimenti e lui con lo stupore degli onesti si ritrova eroe di giornata. “Sinceramente mi è sembrata una cosa normale avvisare del mio infortunio e infatti tutto questo scalpore per il rigore non assegnato un po’ mi lascia senza parole” ha esordito quanto lo abbiamo contattato.

Eros Bruschi
Eros Bruschi

Scorrendo la sua pagina Facebook e dopo averci scambiato due chiacchiere è pero’ evidente da dove venga questa buona condotta. Dalla passione per il calcio, a tutti i livelli. “Gioco da quando ho 5 anni e per me lo sport è molto importante soprattutto per il rapporto che si crea. Le sfide ti aiutano nella vita di tutti i giorni a non mollare alle prime avversità. Praticamente vivo per il calcio anche se ormai faccio i dilettanti. Ho avuto qualche esperienza nei professionisti a livello giovanile dove ho imparato molte cose che mi hanno aiutato e mi aiutano tutt’ora”.
Così sui social lo si può vedere con la maglia della Juventus, sua squadra del cuore, oppure indossare quella del Chelsea, evidentemente per il legame che è rimasto verso Antonio Conte, ma non mancano le classiche visite da turista nel museo del Real Madrid o lo sventolare delle bandiere italiane in concomitanza dei match della nazionale.
Un tifoso a tutto tondo, che poi la domenica si prepara la borsa da solo, magari imprecando per non aver pulito gli scarpini dalla partita precedente, che arriva al campo e lo può trova ancora chiuso perché il custode ha fatto le ore piccole e si è addormentato e allora con i compagni di squadra improvvisa una porta tedesca sui muri degli spogliatoi.

San Rocco, parla Eros Bruschi

“Ho giocato anche in Eccellenza e Promozione prima della Seconda categoria con il San Rocco. Negli ultimi anni mi ha stregato Tevez per lo spirito, la cattiveria agonistica e la concretezza. Vedendolo mi ha insegnato che nello sport come nella vita ogni cosa va conquistata centimetro dopo centimetro”. Come domenica: “L’azione è andata così: scatto in area dove sento uno strappo al bicipite femorale e il difensore mi cade addosso. Sarei andato in porta da solo e non è stato il difensore a fermarmi ma l’infortunio. L’arbitro una volta avvisato mi ha ringraziato come tutti gli avversari”.

Perché fingere? Sembra facile non farlo. Ma non lo è. E lo sappiamo tutti.

“Avrei voluto fare il calciatore – aggiunge Eros con gli occhi che brillano – ma purtroppo è una attività che non mi ha ancora dato quella stabilità per poter mollare il lavoro. Anche se ci spero sempre di migliorare. Prima ero impiegato in un’azienda su turni come controllo qualità, mentre ora sono programmatore e cablatore elettrico e faccio orari dalle 8 alle 17 viaggiando molto all’estero e quindi è difficile avere continuità negli allenamenti. Per questo sono sceso di categoria. Ma se mi capitasse l’occasione la coglierei al volo. Per me il calcio è tutto”.