Dalla legge Bosman alle seconde generazioni, sempre più spesso si sente parlare del rapporto dei calciatori stranieri con la Serie A, ma quali sono davvero i numeri e da dove vengono esattamente questi atleti?

Dallo Speciale Gran Galà del Calcio 2018, distribuito un mese fa anche a Pitti Uomo.

Parole di Tommaso Valisi.

È sempre Argentina-Brasile

Sono i due paesi sudamericani a prendersi il trono per quanto riguarda gli stranieri in A. Ben 31 i brasiliani, che da soli rappresentano quasi il 10%, mentre gli argentini seguono a ruota con ben 29 calciatori e un valore di mercato medio più alto grazie alla presenza di Dybala.

Per chi segue il calcio italiano la presenza sudamericana non è sicuramente nuova. Secondo Transfermarkt, portale di riferimento per le statistiche legate al calcio, il nostro campionato ha ospitato, dalla sua fondazione a oggi, ben 347 calciatori brasiliani e 330 argentini. Particolare però il diverso impatto che le due nazioni hanno avuto nel nostro campionato, con gli albicelesti che, grazie alla presenza di giocatori come Javier Zanetti, vincono per distacco se si guarda il numero di partite giocate.

Di ritorno a casa

La massiccia presenza di queste due nazioni affonda le proprie origini nelle prime migrazioni italiane. Il Bel Paese era infatti impresso nelle menti di quelle famiglie che mai lo dimenticarono, trasmettendone l’amore ai propri discendenti. Non è un caso che in Argentina sia il River Plate che il Boca Juniors siano state fondate da italiani e non è un caso che i primi ad arrivare nel nostro campionato siano stati proprio gli oriundi.

Soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, assistiamo infatti sempre di più al ritorno dei figli dei migranti, ora nuovi argentini e brasiliani. Il fenomeno si ripete poi con la 3° e la 4° nazione per presenze in A: Uruguay e Francia. Anche queste due nazioni infatti hanno visto folle di migranti provenienti dall’Italia e anche in questo caso i loro discendenti hanno voluto tornare nella terra d’origine da vincenti.

Bosman

Il paradosso è che, fino alla legge Bosman del 1995, la maggior parte degli stranieri della Serie A erano per la maggior parte essi stessi di origine italiana o comunque provenienti da uno dei paesi di punta nella migrazione italica. Per vedere l’arrivo di un maggior numero e varietà di stranieri bisognerà aspettare proprio il 1995.

Da quel fatidico anno il calcio è cambiato per sempre, trasformando così la presenza straniera da rarità a routine. La presenza di questi ultimi nel nostro campionato ha poi raggiunto alcuni dei livelli più alti d’Europa: durante questa stagione infatti la percentuale è salita al 57 %, uno dei record negativi della storia sportiva italiana.

La presenza di un numero sempre più alto di italiani di seconda generazione potrebbe essere un valido contrasto al problema, permettendo così al Paese di fare un passo in avanti sia a livello sportivo che di mentalità.

Le nostre seconde generazioni

Da dove vengono queste future leve calcistiche e come si intrecciano le loro storie con una realtà tanto diversa da quella d’origine? Per scoprirlo siamo andati ad intervistare Fabrizio Ciocca, sociologo romano autore del libro Musulmani in Italia, che da anni si occupa di immigrazione nella Capitale e in tutta Italia.

L’anno scorso il numero di calciatori musulmani in Serie A si attestava sulla quarantina e molti di questi provenivano dai Balcani: come ti spieghi questo exploit? Va collegato alla presenza di storiche comunità albanesi in Italia?

L’esplosione balcanica è sicuramente un fenomeno sempre più diffusa nel nostro campionato. Per quanto riguarda l’Albania, gli ottimi risultati raggiunti a livello calcistico negli anni ultimi culminati con il raggiungimento della qualificazione agli ultimi campionati europei, ha fatto emergere l’esistenza di buoni calciatori ad un costo relativamente basso.

Inoltre la forte presenza storica di una comunità albanese in Italia – 440 mila persone più altre 100 mila naturalizzate con la cittadinanza – ha prodotto sia un contatto diretto con  i talent scout in Albania (cosa che fa da diversi anni il dg della Lazio Igli Tare) sia l’emergere di una seconda generazione di giovani italiani di origine albanese nei settori giovanili.

La presenza dei musulmani in Italia è molto variegata e contiene al proprio interno etnie molto diverse: come ti spieghi che il calcio sia però prerogativa solo di certi popoli? Perchè non c’è, ad esempio, un El Shaarawy bengalese?

Il primo motivo credo sia legato soprattutto alla diversa tradizione sportiva presente in questi Paesi. Difficilmente vediamo un ragazzo indiano nei settori giovanili delle squadre di calcio italiane, mentre invece alcuni anni fa fece rumore la naturalizzazione di diversi giocatori srilankesi e pakistani per permettergli di giocare nella nazionale italiana di cricket su prato. Viceversa, sempre più ragazzi di origine magrebina infoltiscono le rose delle Primavere, proprio perché il calcio è il primo sport anche in Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia. Tuttavia, c’è un’altra ragione meramente pratica: per emergere, un giovane sportivo, specie se calciatore, ha bisogno di una struttura che lo segue, le famose Scuole calcio, che non sono gratuite ma anzi rappresentano un discreto costo economico, specie per una famiglia immigrata che magari vive con uno solo stipendio, e ciò comporta che molti talenti non riescano a emergere.

Al tempo mi colpirono molto le foto di Salah in una moschea abusiva di Roma. Secondo te, il fatto che questi gesti siano sempre più rari è dovuto al ruolo di  calciatore o alla sfera personale?

L’esempio di Salah che citi è un caso particolare, quello di un giocatore che non ha nessun timore a vivere la propria fede anche in campo e non ne fa mistero. Vi sono però calciatori che non hanno invece voglia di mostrare il proprio privato, magari per paura di un fraintendimento o perché preferiscono avere un approccio più soft a queste tematiche. Però, proprio perché il mondo ultras e dei tifosi in genere è un mondo di passioni irrazionali e di emozioni istantanee, non va assolutamente sottovalutato l’amore e l’orgoglio che i fan del Liverpool hanno riversato nei confronti del giocatore egiziano. Un affetto tanto grande da intonare un coro allo stadio che in italiano suonerebbe così:  “al prossimo gol di Momò mi convertirò”. Un fatto notevole in un’Inghilterra dove i livelli di islamofobia sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi due anni.

In Serie A si stanno finalmente iniziando a vedere i primi giovani di II generazione, saranno loro il tanto acclamato futuro?

Assolutamente si. Il futuro dello sport italiano e del calcio in particolare è ovviamente legato all’emergere delle seconde generazioni. Il problema, tuttavia, è che c’è un forte rischio che giovani calciatori nati in Italia ma ancora stranieri per la legge (data la mancanza approvazione dello Ius soli e Ius culturae) vengano formati a livello professionistico qui ma, al compimento dei 18 anni, richiamati dalle rispettivi nazioni di origine, privando cosi la nostra Nazionale di futuri talenti come già successo diverse volte. Non è un caso che la Germania sia tornata in auge a livello calcistico, dopo una lunga crisi, grazie all’innesto di giocatori di origine straniera che hanno potuto beneficiare della modifica sulla legge sulla cittadinanza (non più basata sullo “ius sanguinius”), tanto da portare i tedeschi alla vittoria dei campionati del Mondo nel 2014 con giocatori del calibro di Ozil, Khedira e Boateng.